Le nove vite di Alberto Mario Cirese

La storia degli studi

 

 




"Prima la filologia, poi il socialismo!". Alberto Cirese si riconosceva profondamente nella esortazione del suo sindaco Angelo Sacchetti Sassetti, filologo e socialista, non solo perché la considerava una indicazione a svolgere con serietà l'impegno politico e amministrativo che condivisero nel dopoguerra a Rieti, ma soprattutto perché profondamente rappresentava l'atteggiamento che lui, Cirese, volle tenere in tutta la sua vita di studioso, nei decenni che seguirono il tempo del lavoro politico.
Cirese infatti non ha voluto mai abbandonare la grande tradizione positivista, in particolare per quanto riguardava la convinzione che il sapere scientifico potesse essere cumulativo, e che dunque per studiare una qualsiasi questione il primo passo dovesse essere quello di sapere cosa era stato detto fino a quel momento da chi già se ne era occupato, per poi aggiungere il proprio contributo, piccolo o grande che fosse: occorreva cioè per prima cosa fare la storia degli studi di quella determinata questione.

Angelo Sacchetti Sassetti (1873-1968), a destra nella fotografia, fu storico, insegnante e politico. E' stato sindaco socialista di Rieti tra il 1920 e il 1921 e poi tra il 1946 e il 1952. Alberto Cirese amava ripetere una frase che Sacchetti Sassetti, sindaco, disse a lui, giovanissimo assessore anche lui socialista: "Caro Cirese, prima la filologia e poi il socialismo!". Era esortazione alla serietà, alla ricerca dei dati certi su cui, dopo, fondare le interpretazioni, così in politica come nello studio (Archivio Cirese, Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale - Roma).

Così, l'interesse per la storia degli studi ha sempre accompagnato Cirese nel corso del suo lavoro di ricerca. E non è dunque un caso se all'avvio della sua carriera accademica come incaricato di Storia delle tradizioni popolari all'Università di Cagliari, lui passasse abitualmente, come amava ricordare, lunghe ore ad esplorare i cataloghi delle biblioteche cagliaritane. E ne risultarono, solo considerando i primissimi anni sardi, saggi come Alcune questioni terminologiche in materia di poesia popolare sarda: mutu, mutettu, battorina, taja (1959), Notizie etnografiche sulla Sardegna del '700 nell'opera di Matteo Madao (1959), Un gioco cerimoniale del primo maggio in Sardegna: tentativo di analisi (1960), Poesia sarda e poesia popolare nella storia degli studi (1961), L'assegnazione collettiva delle sorti e la disponibilità limitata dei beni nel gioco di Ozieri e nelle analoghe cerimonie vicino-orientali e balcaniche (1963), Struttura e origine morfologica dei mutos e dei mutettus sardi (1963).
Ma lo stesso aveva già fatto qualche anno prima, quando, per preparare il suo primo libro (Gli studi di tradizioni popolari nel Molise. Profilo storico e saggio di bibliografia, Roma, De Luca, 1955), aveva percorso sistematicamente cataloghi e fondi della Biblioteca provinciale 'Paquale Albino' di Campobasso.
Campobasso, Cagliari, cioè Molise e Sardegna, due tra le sue patrie culturali (oltre alla natia Marsica abruzzese, alla Sabina reatina a lungo luogo di vita e al Messico felice teatro di ricerche e amicizie) che sono state anche oggetto di ricerche approfondite, che appunto hanno preso avvio con l'imparare dagli studiosi delle generazioni precedenti.
Se si scorre la bibliografia dei suoi scritti, sono decine e decine i contributi dedicati da Cirese a ricostruire l'opera di altri autori o gli sviluppi di qualche argomento di studio. Non è possibile qui illustrarli o commentarli tutti, ma possiamo fermare l'attenzione su quattro lavori, o meglio tre lavori e un progetto, che rappresentano tappe e risultati importanti di questo interesse di ricerca per lui fondamentale.
Si tratta del libro sul Molise del 1955 che abbiamo già citato, del secondo suo volume, dedicato alla poesia popolare (La poesia popolare, Palermo, Palumbo, 1958), del manuale Cultura egemonica e culture subalterne. Rassegna degli studi sul mondo popolare tradizionale (Palermo, Palumbo, 1973), e infine del progetto Mondo culto e mondo popolare che lo ha impegnato per decenni, di cui abbiamo solo alcune realizzazioni, importanti ma parziali.

La preparazione e l'uscita del libro Gli studi di tradizioni popolari nel Molise. Profilo storico e saggio di bibliografia (Roma, De Luca, 1955) accompagnano e segnano una svolta nella vita di Alberto Cirese. Già da qualche anno si era riavvicinato agli studi, dopo la laurea nel 1944 con Toschi e gli anni successivi trascorsi a occuparsi prevalentemente di politica con le amministrazioni comunale e provinciale di Rieti, a guida socialista. Cirese stesso ha attribuito alla lettura del Mondo magico di de Martino, edito nel 1948, un ruolo importante in questo riavvicinamento. Cominciò a lavorare sul tema della lamentazione funebre, a partire dai materiali studiati per la sua tesi di laurea e da quelli pubblicati dal padre Eugenio per il volume dei Canti popolari della Provincia di Rieti (1945), si iscrisse alla Scuola di perfezionamento in Scienze etnologiche dell'Università di Roma nel 1950 e nello stesso anno fece conoscenza con de Martino, avviando un rapporto di collaborazione. Ernesto de Martino è dunque il punto di riferimento per il Cirese che si avvia a farsi studioso, ma già a partire dal 1953 i rapporti si incrinano, e nel corso dell'anno successivo Cirese decide di staccarsi da de Martino e dal gruppo di giovani studiosi che lo seguivano: queste dinamiche le abbiamo ricostruite nel paragrafo dedicato a Il Molise (e Carpitella, e de Martino). Con il lavoro svolto insieme al padre per la rivista La lapa tra il 1953 e il 1955 e con la preparazione e la pubblicazione del libro sul Molise Cirese intraprende dunque in autonomia un nuovo percorso di ricerca, lasciando l'etnologia e concentrandosi sullo studio del folklore e delle tradizioni popolari. Vedremo poi, parlando di Cultura egemonica e culture subalterne, quale sarà lo sbocco del suo percorso, ma già in questo avvio dei primi anni Cinquanta si delineano alcune caratteristiche originali che lo segnano e lo distinguono da altre prospettive coeve.
Cirese ha piena consapevolezza della gracilità teorica e metodologica della folkloristica italiana dell'epoca, e questo era stato proprio uno dei motivi del suo distaccarsene appena laureato. Le nuove prospettive aperte da de Martino, da un lato, e quelle scoperte a Parigi durante il suo soggiorno di studio del 1953, dall'altro, fornirono spunti importanti per lavorare a quello che allora considerava il compito fondamentale sul piano teorico: fare i conti con il crocianesimo e superarlo. L'impresa editoriale della rivista La lapa voluta dal padre Eugenio nel 1953 darà ad Alberto Cirese diverse occasioni per cimentarsi con questo compito. Già nel primo numero una lettera di de Martino e un articolo di Tullio Tentori verranno commentati da Cirese con note redazionali che accennano a prospettive di studio che lui svilupperà nei decenni successivi: la giustezza, ma al contempo l'insufficienza, della prospettiva storicista (la linea De Sanctis-Croce-Gramsci proposta da de Martino) e la necessità di una complementarità tra prospettiva 'confrontante' e prospettiva 'individuante' negli studi socio-culturali (aspetto, quest'ultimo, che troverà una teorizzazione esplicita in uno scritto del 1986 sul rapporto tra storicismo e strutturalismo).

Il libro sul Molise esce alla fine del 1955, ed è dedicato al padre Eugenio, morto nel febbraio di quell'anno. Il volume faceva parte di un più ampio progetto di ricerca, che prevedeva due altri lavori (poi non realizzati), uno su "L'Abruzzo tra scienza e letteratura: Finamore, De Nino, Pansa" e l'altro su "Le tradizioni popolari nella storia del verismo: Verga, Capuana, Pitrè, Ragusa Moleti". Nella Premessa al volume, infatti, Cirese già delinea alcuni tratti del suo modo di intendere la storia degli studi che svilupperà compiutamente nei decenni successivi: la storia degli studi di tradizioni popolari da un lato sarà la storia degli atteggiamenti degli intellettuali italiani nei confonti delle classi subalterne e delle loro culture, dall'altro sarà affrontata cercando di ricostruire dall'interno le elaborazioni delle intellettualità locali in rapporto con le discussioni e le riflessioni di respiro generale che si producevano a livello nazionale.
Sempre nella Premessa, poi, si giustifica la particolare struttura di questo lavoro dedicato al Molise, che è articolato in due parti: un saggio ("Gli studi di tradizioni popolari nel Molise. Profilo storico") e una bibliografia ragionata ("Saggio di bibliografia delle tradizioni popolari molisane") che conta 216 schede relative a opere che datano dal 1586 al 1955. Il fatto è, dice Cirese, che "La vicenda degli studi di tradizioni popolari nel Molise non era nota neppure nelle sue meno tenui manifestazioni. E' stato perciò necessario appoggiare il discorso ad un continuo riferimento ai documenti: la migliore maniera è sembrata quella di accompagnare il saggio con una bibliografia cronologica" (e notiamo che il tutto è corredato da ben tre Indici che ne agevolano la consultazione: l'indice delle tradizioni, quello dei luoghi, quello delle persone).

Anche il libro successivo, che esce nel 1958, è dedicato alla storia degli studi: è La poesia popolare, e anche questo libro marca una tappa importante nella costruzione della nuova identità di Cirese come studioso stimato. Da un anno Cirese insegna Storia delle tradizioni popolari all'Università di Cagliari, e tra i colleghi che hanno sostenuto il conferimento dell'incarico di insegnamento c'era l'insigne italianista Giuseppe Petronio, preside della Facoltà di Lettere, ma anche direttore della collana "Storia della critica" dell'editore Giovan Battista Palumbo di Palermo che accoglie il nuovo libro di Cirese. Così come la collaborazione con questo editore siciliano, che ora si avvia, sarà per Cirese fondamentale nel corso dei decenni successivi: per lui scriverà molto, tra il 1967 e il 1987, sulla rivista Problemi, e pubblicherà altri due volumi, Folklore e antropologia tra storicismo e marxismo nel 1972 e soprattutto Cultura egemonica e culture subalterne. Rassegna degli studi sul mondo popolare tradizionale, uscito in prima edizione nel 1971 e nel 1973 in una edizione accresciuta e definitiva che vedrà venti ristampe nel trentennio successivo.
Seguendo l'impostazione della collana, La poesia popolare (che Cirese dedicò alla moglie Liliana Serafini) si apre con uno scritto che ricostruisce gli interessi per la poesia e la letteratura popolare da parte di critici, scrittori e uomini di cultura italiani tra Ottocento e prima metà del Novecento e che introduce una ampia antologia di testi tratti dalle opere di una trentina di autori, scelti tra quelli discussi nel saggio introduttivo. La struttura del libro, ripetiamo, rispecchia l'impostazione della collana, ma è in realtà anche del tutto funzionale all'approccio storico-critico che Cirese seguirà nei decenni successivi: il suo farsi storico degli studi di un settore con una esilissima tradizione disciplinare specialistica e accademica lo obbligherà a fare di necessità virtù, portandolo ad allargare lo sguardo al complesso della intellettualità italiana, per ricostruirne gli interessi e gli atteggiamenti nei confronti dei prodotti culturali del mondo subalterno.

Cultura egemonica e culture subalterne è il libro più diffuso e più conosciuto di Cirese. Ne uscì una prima edizione nel 1971, e una seconda, accresciuta e definitiva nel 1973, che è arrivata alla ventesima ristampa nel 2006, sempre per l'editore Palumbo di Palermo. E' un manuale destinato alle università, il sottotitolo dice Rassegna degli studi sul mondo popolare tradizionale. Il libro, nelle parole dell'autore, si occupa «di demologia, di tradizioni popolari, di folklore», e possiamo dire che rappresenta il soddisfacimento di una esigenza che Cirese aveva avvertito fin dai tempi del suo impegno per la rivista La Lapa, come più tardi racconterà: porre rimedio a una sostanziale debolezza dei quadri metodologici e concettuali che ancora nel dopoguerra caratterizzavano gli studi di tradizioni popolari in Italia. In una intervista del 1997 Cirese ricostruisce alcuni di questi passaggi: gli studi di folklore erano spesso caratterizzati dalla "circolazione di concezioni ancora idilliche e armonistiche", e a lui pareva che "tutti quelli che si erano occupati di folklore (e in particolare di poesia popolare, per quanto riguarda la demologia italiana) avessero lavorato sulle opposizioni tra popolare e d’arte, incolto e colto, periferico e centrale, e avessero usato nozioni di ‘popolo’ che portavano a intuire tratti del reale, ma che non possedevano rigore e forza concettuale sufficienti per un lavoro di fondazione". Per questa "fondazione" occorreva intanto confrontarsi con l'approccio dominante negli studi umanistici, lo storicismo crociano, salvandone l'approccio anti-metafisico e laico, ma allargandone la prospettiva per ricomprendere la considerazione delle 'periferie' sociali e culturali, con uno sguardo anche 'sociologico' capace di studiare la dimensione della vita quotidiana delle persone comuni, quella del "ripetuto e ripetibile". Per fare questo occorreva fare uso di comparazione, oltre la "individuazione" propria dello storicismo crociano, e occorreva una nozione di popolo diversa da quella allora corrente, per la quale la gramsciana opposizione tra egemonico e subalterno risultava utile (insieme alll’indicazione di una relazione di solidarietà tra condizione sociale e modi culturali pure dovuta a Gramsci). A una disciplina così rifondata Cirese preferiva dare il nome di 'demologia', differenziandosi dalle denominazioni correnti di 'studi di folklore' e 'storia delle tradizioni popolari'.
Il libro si presentava suddiviso in quattro parti. La prima (Quadro informativo generale) è un repertorio di nozioni teoriche e di quadri concettuali, costruito allargando lo sguardo nel tempo (si parte da Tylor) e nello spazio (dall’Europa dell’Est al Nord America), e attraversando numerosi confini disciplinari (demologia, etnologia, antropologia sociale e culturale, etnomusicologia, sociologia, filologia, linguistica, semiologia), il tutto a fare da contesto alle nozioni di dislivelli di cultura e di solidarietà tra fatti culturali e gruppi sociali (o ‘connotazione’, secondo il termine che Cirese ricava dalla linguistica di Louis Hjelmslev). La terza (Criteri e tecniche di documentazione e di analisi) è una ampia, originale rassegna di metodi e tecniche di raccolta, trattamento e presentazione dei dati, la produzione dei quali è l'essenza stessa del fare ricerca; è notevole il fatto che la discussione delle varie procedure è messa in dialogo con i diversi contesti disciplinari e le diverse impostazioni teoriche presentati nelle altre parti del libro. La quarta parte (Chiave dei rinvii bibliografici) è ben più che una bibliografia, è un condensato di storia dell'editoria antropologica, ricchissimo di dati e utilizzabile anche come repertorio a se stante.
La seconda parte, infine (Gli studi demologici in Italia: sviluppi interni e contatti europei), è quella specificamente dedicata a ricostruire una storia degli studi demologici. La trattazione copre tutto l'Ottocento e la prima metà del Novecento, sistematizzando l'approccio che abbiamo visto all'opera nei lavori precedenti, con una ricostruzione degli atteggiamenti e degli interessi per le espressioni della cultura popolare da parte dell'intellettualità italiana. Come abbiamo già osservato in Italia gli studi che oggi chiamiamo generalmente 'antropologici' hanno avuto una istituzionalizzazione accademica molto tardiva (i primi concorsi a cattedra di Storia delle tradizioni popolari sono del 1949, di Etnologia del 1967 e di Antropologia culturale del 1971), e dunque le ricerche sono state condotte, fino al Novecento avanzato, da intellettuali e studiosi con interessi anche molto approfonditi nel campo della poesia popolare, del folklore, della musica popolare, ma con una formazione certamente non specialistica. Risultano dunque fondamentali i lavori di Niccolò Tommaseo, di Ermolao Rubieri, di Alessandro D'Ancona, di Costantino Nigra, e poi dei primi fiabisti, di Giuseppe Pitrè, e poi di Michele Barbi, di Giuseppe Vidossi, di Vittorio Santoli. Al secondo dopoguerra, che vede all'opera anche nelle Università Toschi, Cocchiara, de Martino e Cirese stesso, viene dedicato un capitolo a sé (Indagini tradizionali e contatti con la realtà sociale nell'ultimo venticinquennio), che cerca di rendere conto delle trasformazioni di una disciplina anche in relazione con il contesto sociale e politico dell'Italia di quel tempo, che vedeva in atto grandi processi come l'industrializzazione, il declino del mondo contadino, lo sviluppo dei consumi e delle comunicazioni.
Che quadro esce da questo profilo, sintetico ma sistematico, della storia degli studi demologici italiani?
La questione è discussa, insieme a molte altre, in alcuni dei saggi che un numero monografico della rivista Lares dedica nel 2015 a "Ripensare Cultura egemonica e culture subalterne" a cinquanta anni dalla sua pubblicazione. Fabio Dei, ad esempio, dice "Tutto è costruito in una cornice 'progressista': il libro traccia la storia degli studi come una evoluzione che passa attraverso vari gradi di consapevolezza teorica, avvicinandosi per tappe al paradigma attuale: prima gli interessi antiquari, poi il romanticismo che tematizza per la prima volta lo spirito del popolo, poi il positivismo che introduce la documentazione sistematica, etc., fino a che gli strumenti gramsciani non consentono di comprendere la vera natura del folklore, cioè la sua connotazione di classe". Eugenio Testa concorda con questa valutazione, sottolineando che "Il punto meriterebbe però una analisi approfondita, tenendo conto del fatto che Cirese ha dato del proprio modo di fare storia degli studi una visione opposta". Nella intervista del 1997 che abbiamo già citato, infatti, Cirese si era espresso, tra l'altro, su come secondo lui si dovesse fare storia degli studi: "Un modo, che forse è stato anche il mio, è quello di chi, andando all’indietro, va sempre a cercare gli antecedenti delle posizioni attuali e considerate valide, per considerarli a loro volta validi rispetto a quelli che viceversa sono caduti. Il mio tentativo, nel giudicare un’altra epoca storica a partire dalla mia, è stato di cercare di riambientarmici, e dire cosa è buono e cosa è cattivo non in comparazione con le successive, ma comparando tra cose coeve. Il problema è il metro di misura di questa comparazione. Quello che adottavo io era il raggio del cerchio delle cose che abbracciavano: tra due posizioni coeve, io giudicavo positivamente quella che avesse una universalità maggiore dell’altra. [...] Può darsi che anch’io abbia individuato e valutato positivamente delle ‘anticipazioni’ in funzione del loro grado di vicinanza alle mie posizioni. Ma non era mia intenzione farlo. Il criterio che ho cercato di seguire è stato l’altro."

Il progetto Mondo culto e mondo popolare in Italia dal Trecento all'Ottocento e oltre. Materiali per una storia ha accompagnato Cirese per molti decenni. Nel gennaio del 2010 scriveva: "Avevo progettato questa raccolta di studi molti e molti anni fa, forse quaranta. Ne restano tra le carte decine di indici e decine di scatole Buffetti, e rammento di averne parlato più volte con Vittorio Santoli. Nel 1976 ne feci dichiarato stralcio nel volume einaudiano Intellettuali, folklore, istinto di classe, e nel 1981 Sandra Puccini curò una corposa dispensa che riunì in fotocopia una trentina di lavori: fu per gli studenti, ma se ne avvalse anche qualche studioso, come ad esempio Giorgio Raimondo Cardona." Sono le prime, e uniche, parole di una Avvertenza introduttiva che possiamo leggere in una nota inedita conservata nel suo archivio digitale personale, traccia di un interesse mai dismesso per questo progetto.
Come abbiamo letto in queste righe, un primo importante prodotto di questo progetto è il volume Intellettuali, folklore, istinto di classe. Note su Verga, Deledda, Scotellaro, Gramsci (Torino, Einaudi, 1976) che raccoglie quattro saggi pubblicati tra gli anni Cinquanta e Sessanta e numerose note critiche aggiuntive inedite. All'inizio della Premessa al volume, Cirese scrive: "Le note su Verga, Deledda, Scotellaro e Gramsci, già pubblicate tra il 1955 e il 1972 ed ora qui riunite, dovevano far parte di una meno esigua raccolta di scritti Mondo culto e mondo popolare nell'Ottocento e oltre, da tempo progettata come archivio delle annotazioni che oltre vent'anni di manovalanza hanno prodotto come materiali per una storia degli atteggiamenti ideologici che la borghesia intellettuale italiana ha assunto verso il mondo subalterno, dal popolarismo romantico alla rottura gramsciana. Per eccesso di carico, però, il progetto piu ampio si è arenato: di qui lo stralcio."
Questo è dunque l'obiettivo, ambizioso: tracciare "una storia degli atteggiamenti ideologici che la borghesia intellettuale italiana ha assunto verso il mondo subalterno". Un significativo avvicinamento alla realizzazione del progetto è la dispensa per il corso tenuto da Cirese all'Università di Roma nell'anno accademico 1981/1982, curata da Sandra Puccini, che si intitola appunto Mondo culto e mondo popolare dal '400 all' '800. La dispensa raccoglie molti testi già pubblicati e alcune note di raccordo inedite, organizzati in cinque sezioni: Alcuni antecedenti dal '400 al '700; Statistiche napoleoniche e popolarismo prequarantottesco; Dialetti e canti italiani nel mondo tedesco del primo Ottocento; Riflessi dell'unificazione; Dalla demopsicologia alla filologia demologica (e oltre). In generale i testi vengono riprodotti così come erano stati pubblicati, ma in alcuni casi Cirese li smonta e li riarticola per rispettare la cronologia e ridurre le sovrapposizioni nella trattazione.
L'ipotesi di Sommario contenuta nella nota inedita del 2010 riprende la struttura dell'indice della dispensa, con qualche aggiunta e qualche modifica: 1. Avvertenza; 2. Studi e storie degli studi: due note iniziali; 3. Alcuni antecedenti dal Trecento al Settecento; 4. Statistiche napoleoniche e popolarismo prequarantottesco; 5. Dialetti e canti italiani nel mondo tedesco del primo Ottocento; 6. Gli anni dell'Unificazione e l'ultimo Ottocento; 7. Il Novecento; 8. Volumi e Saggi di storie regionali. Naturalmente sono molto più numerosi gli scritti che l'autore pensa di includere nella raccolta, dato che sono passati trent'anni dalla dispensa e molti sono stati i suoi nuovi contributi al tema della storia degli studi demologici italiani: tra questi ci sono anche i due saggi che Cirese inserirebbe in apertura: Sulla storiografia demo-etno-antropologica italiana del 1985 e Lo studio delle tradizioni popolari del 1996. Ma sono gli ultimi due punti dell'ipotesi di Sommario (7. Il Novecento; 8. Volumi e Saggi di storie regionali) che segnano un ampliamento e forse un cambiamento di prospettiva, che porta il progetto di Mondo culto e mondo popolare a diventare un contenitore di tutte le scritture ciresiane di taglio storico-critico: qualcosa che rende ardua la sua realizzabilità editoriale (se non pensando a una collana di volumi, piuttosto che a una opera singola), ma che testimonia che davvero l'interesse per la storia degli studi è stato un tema dominante e unificante nel percorso intellettuale di Alberto Cirese.

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