Le nove vite di Alberto Mario Cirese

4 La storia degli studi

 

 


4.1 Il Molise (1955)
4.2 La poesia popolare (1958)
4.3 Gli studi demologici in Italia (1973)
4.4 Mondo culto e mondo popolare (1955-2010)

"Prima la filologia, poi il socialismo!". Alberto Cirese si riconosceva profondamente nella esortazione del suo sindaco Angelo Sacchetti Sassetti, filologo e socialista, non solo perché la considerava una indicazione a svolgere con serietà l'impegno politico e amministrativo che condivisero nel dopoguerra a Rieti, ma soprattutto perché profondamente rappresentava l'atteggiamento che lui, Cirese, volle tenere in tutta la sua vita di studioso, nei decenni che seguirono il tempo del lavoro politico.
Cirese infatti non ha voluto mai abbandonare la grande tradizione positivista, in particolare per quanto riguardava la convinzione che il sapere scientifico potesse essere cumulativo, e che dunque per studiare una qualsiasi questione il primo passo dovesse essere quello di sapere cosa era stato detto fino a quel momento da chi già se ne era occupato, per poi aggiungere il proprio contributo, piccolo o grande che fosse: occorreva cioè per prima cosa fare la storia degli studi di quella determinata questione.

Angelo Sacchetti Sassetti (1873-1968), a destra nella fotografia, fu storico, insegnante e politico. E' stato sindaco socialista di Rieti tra il 1920 e il 1921 e poi tra il 1946 e il 1952. Alberto Cirese amava ripetere una frase che Sacchetti Sassetti, sindaco, disse a lui, giovanissimo assessore anche lui socialista: "Caro Cirese, prima la filologia e poi il socialismo!". Era esortazione alla serietà, alla ricerca dei dati certi su cui, dopo, fondare le interpretazioni, così in politica come nello studio (Archivio Cirese, Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale - Roma).

Così, l'interesse per la storia degli studi ha sempre accompagnato Cirese nel corso del suo lavoro di ricerca. E non è dunque un caso se all'avvio della sua carriera accademica come incaricato di Storia delle tradizioni popolari all'Università di Cagliari, lui passasse abitualmente, come amava ricordare, lunghe ore ad esplorare i cataloghi delle biblioteche cagliaritane. E ne risultarono, solo considerando i primissimi anni sardi, saggi come Alcune questioni terminologiche in materia di poesia popolare sarda: mutu, mutettu, battorina, taja (1959), Notizie etnografiche sulla Sardegna del '700 nell'opera di Matteo Madao (1959), Un gioco cerimoniale del primo maggio in Sardegna: tentativo di analisi (1960), Poesia sarda e poesia popolare nella storia degli studi (1961), L'assegnazione collettiva delle sorti e la disponibilità limitata dei beni nel gioco di Ozieri e nelle analoghe cerimonie vicino-orientali e balcaniche (1963), Struttura e origine morfologica dei mutos e dei mutettus sardi (1963).
Ma lo stesso aveva già fatto qualche anno prima, quando, per preparare il suo primo libro (Gli studi di tradizioni popolari nel Molise. Profilo storico e saggio di bibliografia, Roma, De Luca, 1955), aveva percorso sistematicamente cataloghi e fondi della Biblioteca provinciale 'Paquale Albino' di Campobasso.
Campobasso, Cagliari, cioè Molise e Sardegna, due tra le sue patrie culturali (oltre alla natia Marsica abruzzese, alla Sabina reatina a lungo luogo di vita e al Messico felice teatro di ricerche e amicizie) che sono state anche oggetto di ricerche approfondite, che appunto hanno preso avvio con l'imparare dagli studiosi delle generazioni precedenti.
Se si scorre la bibliografia dei suoi scritti, sono decine e decine i contributi dedicati da Cirese a ricostruire l'opera di altri autori o gli sviluppi di qualche argomento di studio. Non è possibile qui illustrarli o commentarli tutti, ma possiamo fermare l'attenzione su quattro lavori, o meglio tre lavori e un progetto, che rappresentano tappe e risultati importanti di questo interesse di ricerca per lui fondamentale.
Si tratta del libro sul Molise del 1955 che abbiamo già citato, del secondo suo volume, dedicato alla poesia popolare (La poesia popolare, Palermo, Palumbo, 1958), del manuale Cultura egemonica e culture subalterne. Rassegna degli studi sul mondo popolare tradizionale (Palermo, Palumbo, 1973), e infine del progetto Mondo culto e mondo popolare che lo ha impegnato per decenni, di cui abbiamo solo alcune realizzazioni, importanti ma parziali.

La preparazione e l'uscita del libro Gli studi di tradizioni popolari nel Molise. Profilo storico e saggio di bibliografia (Roma, De Luca, 1955) accompagnano e segnano una svolta nella vita di Alberto Cirese. Già da qualche anno si era riavvicinato agli studi, dopo la laurea nel 1944 con Toschi e gli anni successivi trascorsi a occuparsi prevalentemente di politica con le amministrazioni comunale e provinciale di Rieti, a guida socialista. Cirese stesso ha attribuito alla lettura del Mondo magico di de Martino, edito nel 1948, un ruolo importante in questo riavvicinamento. Cominciò quindi a lavorare sul tema della lamentazione funebre, a partire dai materiali studiati per la sua tesi di laurea e da quelli pubblicati dal padre Eugenio per il volume dei Canti popolari della Provincia di Rieti (1945), si iscrisse alla Scuola di perfezionamento in Scienze etnologiche dell'Università di Roma nel 1950 e nello stesso anno fece conoscenza con de Martino, avviando un rapporto di collaborazione. Ernesto de Martino è dunque il punto di riferimento per il Cirese che si avvia a farsi studioso, ma già a partire dal 1953 i rapporti si incrinano, e nel corso dell'anno successivo Cirese decide di staccarsi da de Martino e dal gruppo di giovani studiosi che lo seguivano: queste dinamiche le abbiamo ricostruite nel paragrafo dedicato a Il Molise (e Carpitella, e de Martino). Con il lavoro svolto insieme al padre per la rivista La lapa tra il 1953 e il 1955 e con la preparazione e la pubblicazione del libro sul Molise Cirese intraprende dunque in autonomia un nuovo percorso di ricerca, lasciando l'etnologia e concentrandosi sullo studio del folklore e delle tradizioni popolari. Vedremo poi, parlando di Cultura egemonica e culture subalterne, quale sarà lo sbocco del suo percorso, ma già in questo avvio dei primi anni Cinquanta si delineano alcune caratteristiche originali che lo segnano e lo distinguono da altre prospettive coeve.
Cirese ha piena consapevolezza della gracilità teorica e metodologica della folkloristica italiana dell'epoca, e questo era stato proprio uno dei motivi del suo distaccarsene appena laureato. Le nuove prospettive aperte da de Martino, da un lato, e quelle scoperte a Parigi durante il suo soggiorno di studio del 1953 dall'altro fornirono spunti importanti per lavorare a quello che allora considerava il compito fondamentale sul piano teorico: fare i conti con il crocianesimo e superarlo. L'impresa editoriale della rivista La lapa voluta dal padre Eugenio nel 1953 darà ad Alberto Cirese diverse occasioni per cimentarsi con questo compito. Già nel primo numero una lettera di de Martino e un articolo di Tullio Tentori verranno commentati da Cirese con note redazionali che accennano a prospettive di studio che lui svilupperà nei decenni successivi: la giustezza, ma al contempo l'insufficienza, della prospettiva storicista (la linea De Sanctis-Croce-Gramsci proposta da de Martino) e la necessità di una complementarità tra prospettiva 'confrontante' e prospettiva 'individuante' negli studi socio-culturali (aspetto, quest'ultimo, che troverà una teorizzazione esplicita in uno scritto del 1986 sul rapporto tra storicismo e strutturalismo.
Il libro sul Molise esce alla fine del 1955, ed è dedicato al padre Eugenio, morto nel febbraio di quell'anno. Il volume faceva parte di un più ampio progetto di ricerca, che prevedeva due altri lavori (poi non realizzati), uno su "L'Abruzzo tra scienza e letteratura: Finamore, De Nino, Pansa" e l'altro su "Le tradizioni popolari nella storia del verismo: Verga, Capuana, Pitrè, Ragusa Moleti". Nella Premessa al volume, infatti, Cirese già delinea alcuni tratti del suo modo di intendere la storia degli studi che svilupperà compiutamente nei decenni successivi: la storia degli studi di tradizioni popolari da un lato sarà la storia degli atteggiamenti degli intellettuali italiani nei confonti delle classi subalterne e delle loro culture, dall'altro sarà affrontata cercando di ricostruire dall'interno le elaborazioni delle intellettualità locali in rapporto con le discussioni e le riflessioni di respiro generale che si producevano a livello nazionale.
Sempre nella Premessa, poi, si giustifica la particolare struttura di questo lavoro dedicato al Molise, che è articolato in due parti: un saggio ("Gli studi di tradizioni popolari nel Molise. Profilo storico") e una bibliografia ragionata ("Saggio di bibliografia delle tradizioni popolari molisane") che conta 216 schede relative a opere che datano dal 1586 al 1955. Il fatto è, dice Cirese, che "La vicenda degli studi di tradizioni popolari nel Molise non era nota neppure nelle sue meno tenui manifestazioni. E' stato perciò necessario appoggiare il discorso ad un continuo riferimento ai documenti: la migliore maniera è sembrata quella di accompagnare il saggio con una bibliografia cronologica" (e notiamo che il tutto è corredato da ben tre Indici che ne agevolano la consultazione: l'indice delle tradizioni, quello dei luoghi, quello delle persone).

Anche il libro successivo, che esce nel 1958, è dedicato alla storia degli studi: è La poesia popolare, e anche questo libro marca una tappa importante nella costruzione della nuova identità di Cirese come studioso stimato. Da un anno Cirese insegna Storia delle tradizioni popolari all'Università di Cagliari, e tra i colleghi che hanno sostenuto il conferimento dell'incarico di insegnamento c'era l'insigne italianista Giuseppe Petronio, preside della Facoltà di Lettere, ma anche direttore della collana "Storia della critica" dell'editore Giovan Battista Palumbo di Palermo che accoglie il nuovo libro di Cirese. Così come la collaborazione con questo editore siciliano, che ora si avvia, sarà per Cirese fondamentale nel corso dei decenni successivi: per lui scriverà molto, tra il 1967 e il 1987, sulla rivista Problemi, e pubblicherà altri due volumi, Folklore e antropologia tra storicismo e marxismo nel 1972 e soprattutto Cultura egemonica e culture subalterne. Rassegna degli studi sul mondo popolare tradizionale, uscito in prima edizione nel 1971 e nel 1973 in una edizione accresciuta e definitiva che vedrà venti ristampe nel trentennio successivo.
Seguendo l'impostazione della collana, La poesia popolare (che Cirese dedicò alla moglie Liliana Serafini) si apre con uno scritto che ricostruisce gli interessi per la poesia e la letteratura popolare da parte di critici, scrittori e uomini di cultura italiani tra Ottocento e prima metà del Novecento e che introduce una ampia antologia di testi tratti dalle opere di una trentina di autori, scelti tra quelli discussi nel saggio introduttivo. La struttura del libro, ripetiamo, rispecchia l'impostazione della collana, ma è in realtà anche del tutto funzionale all'approccio storico-critico che Cirese seguirà nei decenni successivi: il suo farsi storico degli studi di un settore con una esilissima tradizione disciplinare specialistica e accademica lo obbligherà a fare di necessità virtù, portandolo ad allargare lo sguardo al complesso della intellettualità italiana, per ricostruirne gli interessi e gli atteggiamenti nei confronti dei prodotti culturali del mondo subalterno.

Cultura egemonica e culture subalterne è il libro più diffuso e più conosciuto di Cirese. Ne uscì una prima edizione nel 1971, e una seconda, accresciuta e definitiva nel 1973, che è arrivata alla ventesima ristampa nel 2006, sempre per l'editore Palumbo di Palermo. E' un manuale destinato alle università, il sottotitolo dice Rassegna degli studi sul mondo popolare tradizionale. Il libro, nelle parole dell'autore, si occupa «di demologia, di tradizioni popolari, di folklore», e possiamo dire che rappresenta il soddisfacimento di una esigenza che Cirese aveva avvertito fin dai tempi del suo impegno per la rivista La Lapa, come più tardi racconterà: porre rimedio a una sostanziale debolezza dei quadri metodologici e concettuali che ancora nel dopoguerra caratterizzavano gli studi di tradizioni popolari in Italia. In una intervista del 1997 Cirese ricostruisce alcuni di questi passaggi: gli studi di folklore erano spesso ancora caratterizzati dalla "circolazione di concezioni ancora idilliche e armonistiche", e "tutti quelli che si erano occupati di folklore (e in particolare di poesia popolare, per quanto riguarda la demologia italiana) avessero lavorato sulle opposizioni tra popolare e d’arte, incolto e colto, periferico e centrale, e avessero usato nozioni di ‘popolo’ che portavano a intuire tratti del reale, ma che non possedevano rigore e forza concettuale sufficienti per un lavoro di fondazione". Per questa "fondazione" occorreva intanto confrontarsi con l'approccio dominante negli studi umanistici, lo storicismo crociano, salvandone l'approccio anti-metafisico e laico, ma allargandone la prospettiva per ricomprendere la considerazione delle 'periferie' sociali e culturali, con uno sguardo anche 'sociologico' capace di studiare la dimensione della vita quotidiana delle persone comuni, quella del "ripetuto e ripetibile". Per fare questo occorre fare uso di comparazione, oltre la "individuazione" propria dello storicismo crociano, e occorre una nozione di popolo diversa da quella allora corrente, per la quale la gramsciana opposizione tra egemonico e subalterno risultava utile (insieme alll’indicazione di una relazione di solidarietà tra condizione sociale e modi culturali pure dovuta a Gramsci).


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