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       Le nove vite di Alberto Mario Cirese 4 La storia degli studi 
 
 
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| Angelo Sacchetti Sassetti (1873-1968), a destra nella fotografia, fu storico, insegnante e politico. E' stato sindaco socialista di Rieti tra il 1920 e il 1921 e poi tra il 1946 e il 1952. Alberto Cirese amava ripetere una frase che Sacchetti Sassetti, sindaco, disse a lui, giovanissimo assessore anche lui socialista: "Caro Cirese, prima la filologia e poi il socialismo!". Era esortazione alla serietà, alla ricerca dei dati certi su cui, dopo, fondare le interpretazioni, così in politica come nello studio (Archivio Cirese, Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale - Roma). | 
Così, l'interesse 
  per la storia degli studi ha sempre accompagnato Cirese nel corso del suo lavoro 
  di ricerca. E non è dunque un caso se all'avvio della sua carriera accademica 
  come incaricato di Storia delle tradizioni popolari all'Università di 
  Cagliari, lui passasse abitualmente, come amava ricordare, lunghe ore ad esplorare 
  i cataloghi delle biblioteche cagliaritane. E ne risultarono, solo considerando 
  i primissimi anni sardi, saggi come Alcune 
  questioni terminologiche in materia di poesia popolare sarda: mutu, mutettu, 
  battorina, taja (1959), Notizie 
  etnografiche sulla Sardegna del '700 nell'opera di Matteo Madao (1959), 
  Un 
  gioco cerimoniale del primo maggio in Sardegna: tentativo di analisi 
  (1960), Poesia 
  sarda e poesia popolare nella storia degli studi (1961), L'assegnazione 
  collettiva delle sorti e la disponibilità limitata dei beni nel gioco 
  di Ozieri e nelle analoghe cerimonie vicino-orientali e balcaniche (1963), 
  Struttura e origine 
  morfologica dei mutos e dei mutettus sardi (1963).
  Ma lo stesso aveva già fatto qualche anno prima, quando, per preparare 
  il suo primo libro (Gli 
  studi di tradizioni popolari nel Molise. Profilo storico e saggio di bibliografia, 
  Roma, De Luca, 1955), aveva percorso sistematicamente cataloghi e fondi della 
  Biblioteca provinciale 'Paquale Albino' di Campobasso. 
  Campobasso, Cagliari, cioè Molise e Sardegna, due tra le sue patrie culturali 
  (oltre alla natia Marsica abruzzese, alla Sabina reatina a lungo luogo di vita 
  e al Messico felice teatro di ricerche e amicizie) che sono state anche oggetto 
  di ricerche approfondite, che appunto hanno preso avvio con l'imparare dagli 
  studiosi delle generazioni precedenti.
  Se si scorre la bibliografia dei suoi 
  scritti, sono decine e decine i contributi dedicati da Cirese a ricostruire 
  l'opera di altri autori o gli sviluppi di qualche argomento di studio. Non è 
  possibile qui illustrarli o commentarli tutti, ma possiamo fermare l'attenzione 
  su quattro lavori, o meglio tre lavori e un progetto, che rappresentano tappe 
  e risultati importanti di questo interesse di ricerca per lui fondamentale.
  Si tratta del libro sul Molise del 1955 che abbiamo già citato, del secondo 
  suo volume, dedicato alla poesia popolare (La poesia popolare, Palermo, 
  Palumbo, 1958), del manuale Cultura egemonica e culture subalterne. Rassegna 
  degli studi sul mondo popolare tradizionale (Palermo, Palumbo, 1973), e 
  infine del progetto Mondo culto e mondo popolare che lo ha impegnato 
  per decenni, di cui abbiamo solo alcune realizzazioni, importanti ma parziali.
La preparazione e l'uscita 
  del libro Gli 
  studi di tradizioni popolari nel Molise. Profilo storico e saggio di bibliografia 
  (Roma, De Luca, 1955) accompagnano e segnano una svolta nella vita di Alberto 
  Cirese. Già da qualche anno si era riavvicinato agli studi, dopo la laurea 
  nel 1944 con Toschi e gli anni successivi trascorsi a occuparsi prevalentemente 
  di politica con le amministrazioni comunale e provinciale di Rieti, a guida 
  socialista. Cirese stesso ha attribuito alla lettura del Mondo magico 
  di de Martino, edito nel 1948, un ruolo importante in questo riavvicinamento. 
  Cominciò quindi a lavorare sul tema della lamentazione funebre, a partire 
  dai materiali studiati per la sua tesi di laurea e da quelli pubblicati dal 
  padre Eugenio per il volume dei Canti popolari della Provincia di Rieti 
  (1945), si iscrisse alla Scuola di perfezionamento in Scienze etnologiche dell'Università 
  di Roma nel 1950 e nello stesso anno fece conoscenza con de Martino, avviando 
  un rapporto di collaborazione. Ernesto de Martino è dunque il punto di 
  riferimento per il Cirese che si avvia a farsi studioso, ma già a partire 
  dal 1953 i rapporti si incrinano, e nel corso dell'anno successivo Cirese decide 
  di staccarsi da de Martino e dal gruppo di giovani studiosi che lo seguivano: 
  queste dinamiche le abbiamo ricostruite nel paragrafo dedicato a Il 
  Molise (e Carpitella, e de Martino). Con il lavoro svolto insieme al padre 
  per la rivista La lapa tra il 1953 e il 1955 e con la preparazione e 
  la pubblicazione del libro sul Molise Cirese intraprende dunque in autonomia 
  un nuovo percorso di ricerca, lasciando l'etnologia e concentrandosi sullo studio 
  del folklore e delle tradizioni popolari. Vedremo poi, parlando di Cultura 
  egemonica e culture subalterne, quale sarà lo sbocco del suo percorso, 
  ma già in questo avvio dei primi anni Cinquanta si delineano alcune caratteristiche 
  originali che lo segnano e lo distinguono da altre prospettive coeve.
  Cirese ha piena consapevolezza della gracilità teorica e metodologica 
  della folkloristica italiana dell'epoca, e questo era stato proprio uno dei 
  motivi del suo distaccarsene appena laureato. Le nuove prospettive aperte da 
  de Martino, da un lato, e quelle scoperte a Parigi durante il suo soggiorno 
  di studio del 1953 dall'altro fornirono spunti importanti per lavorare a quello 
  che allora considerava il compito fondamentale sul piano teorico: fare i conti 
  con il crocianesimo e superarlo. L'impresa editoriale della rivista La lapa 
  voluta dal padre Eugenio nel 1953 darà ad Alberto Cirese diverse occasioni 
  per cimentarsi con questo compito. Già nel primo numero una lettera 
  di de Martino e un articolo 
  di Tullio Tentori verranno commentati da Cirese con note redazionali che 
  accennano a prospettive di studio che lui svilupperà nei decenni successivi: 
  la giustezza, ma al contempo l'insufficienza, della prospettiva storicista (la 
  linea De Sanctis-Croce-Gramsci proposta da de Martino) e la necessità 
  di una complementarità tra prospettiva 'confrontante' e prospettiva 'individuante' 
  negli studi socio-culturali (aspetto, quest'ultimo, che troverà una teorizzazione 
  esplicita in uno scritto 
  del 1986 sul rapporto tra storicismo e strutturalismo.
  Il libro sul Molise esce alla fine del 1955, ed è dedicato al padre Eugenio, 
  morto nel febbraio di quell'anno. Il volume faceva parte di un più ampio 
  progetto di ricerca, che prevedeva due altri lavori (poi non realizzati), uno 
  su "L'Abruzzo tra scienza e letteratura: Finamore, De Nino, Pansa" 
  e l'altro su "Le tradizioni popolari nella storia del verismo: Verga, Capuana, 
  Pitrè, Ragusa Moleti". Nella Premessa al volume, infatti, Cirese 
  già delinea alcuni tratti del suo modo di intendere la storia degli studi 
  che svilupperà compiutamente nei decenni successivi: la storia degli 
  studi di tradizioni popolari da un lato sarà la storia degli atteggiamenti 
  degli intellettuali italiani nei confonti delle classi subalterne e delle loro 
  culture, dall'altro sarà affrontata cercando di ricostruire dall'interno 
  le elaborazioni delle intellettualità locali in rapporto con le discussioni 
  e le riflessioni di respiro generale che si producevano a livello nazionale.
  Sempre nella Premessa, poi, si giustifica la particolare struttura di questo 
  lavoro dedicato al Molise, che è articolato in due parti: un saggio ("Gli 
  studi di tradizioni popolari nel Molise. Profilo storico") e una bibliografia 
  ragionata ("Saggio di bibliografia delle tradizioni popolari molisane") 
  che conta 216 schede relative a opere che datano dal 1586 al 1955. Il fatto 
  è, dice Cirese, che "La vicenda degli studi di tradizioni popolari 
  nel Molise non era nota neppure nelle sue meno tenui manifestazioni. E' stato 
  perciò necessario appoggiare il discorso ad un continuo riferimento ai 
  documenti: la migliore maniera è sembrata quella di accompagnare il saggio 
  con una bibliografia cronologica" (e notiamo che il tutto è corredato 
  da ben tre Indici che ne agevolano la consultazione: l'indice delle tradizioni, 
  quello dei luoghi, quello delle persone).
  
  Anche il libro successivo, che esce nel 1958, è dedicato alla storia 
  degli studi: è La 
  poesia popolare, e anche questo libro marca una tappa importante nella 
  costruzione della nuova identità di Cirese come studioso stimato. Da 
  un anno Cirese insegna Storia delle tradizioni popolari all'Università 
  di Cagliari, e tra i colleghi che hanno sostenuto il conferimento dell'incarico 
  di insegnamento c'era l'insigne italianista Giuseppe Petronio, preside della 
  Facoltà di Lettere, ma anche direttore della collana "Storia della 
  critica" dell'editore Giovan Battista Palumbo di Palermo che accoglie il 
  nuovo libro di Cirese. Così come la collaborazione con questo editore 
  siciliano, che ora si avvia, sarà per Cirese fondamentale nel corso dei 
  decenni successivi: per lui scriverà molto, tra il 1967 e il 1987, sulla 
  rivista Problemi, e pubblicherà altri due volumi, Folklore 
  e antropologia tra storicismo e marxismo nel 1972 e soprattutto Cultura 
  egemonica e culture subalterne. Rassegna degli studi sul mondo popolare tradizionale, 
  uscito in prima edizione nel 1971 e nel 1973 in una edizione accresciuta e definitiva 
  che vedrà venti ristampe nel trentennio successivo.
  Seguendo l'impostazione della collana, La poesia popolare (che Cirese 
  dedicò alla moglie Liliana Serafini) si apre con uno scritto che ricostruisce 
  gli interessi per la poesia e la letteratura popolare da parte di critici, scrittori 
  e uomini di cultura italiani tra Ottocento e prima metà del Novecento 
  e che introduce una ampia antologia di testi tratti dalle opere di una trentina 
  di autori, scelti tra quelli discussi nel saggio introduttivo. La struttura 
  del libro, ripetiamo, rispecchia l'impostazione della collana, ma è in 
  realtà anche del tutto funzionale all'approccio storico-critico che Cirese 
  seguirà nei decenni successivi: il suo farsi storico degli studi di un 
  settore con una esilissima tradizione disciplinare specialistica e accademica 
  lo obbligherà a fare di necessità virtù, portandolo ad 
  allargare lo sguardo al complesso della intellettualità italiana, per 
  ricostruirne gli interessi e gli atteggiamenti nei confronti dei prodotti culturali 
  del mondo subalterno.
Cultura 
  egemonica e culture subalterne è il libro più diffuso 
  e più conosciuto di Cirese. Ne uscì una prima edizione nel 1971, 
  e una seconda, accresciuta e definitiva nel 1973, che è arrivata alla 
  ventesima ristampa nel 2006, sempre per l'editore Palumbo di Palermo. E' un 
  manuale destinato alle università, il sottotitolo dice Rassegna degli 
  studi sul mondo popolare tradizionale. Il libro, nelle parole dell'autore, 
  si occupa «di demologia, di tradizioni popolari, di folklore», e 
  possiamo dire che rappresenta il soddisfacimento di una esigenza che Cirese 
  aveva avvertito fin dai tempi del suo impegno per la rivista La Lapa, 
  come più tardi racconterà: porre rimedio a una sostanziale debolezza 
  dei quadri metodologici e concettuali che ancora nel dopoguerra caratterizzavano 
  gli studi di tradizioni popolari in Italia. In una intervista 
  del 1997 Cirese ricostruisce alcuni di questi passaggi: gli studi di folklore 
  erano spesso ancora caratterizzati dalla "circolazione di concezioni ancora 
  idilliche e armonistiche", e "tutti quelli che si erano occupati di 
  folklore (e in particolare di poesia popolare, per quanto riguarda la demologia 
  italiana) avessero lavorato sulle opposizioni tra popolare e darte, incolto 
  e colto, periferico e centrale, e avessero usato nozioni di popolo 
  che portavano a intuire tratti del reale, ma che non possedevano rigore e forza 
  concettuale sufficienti per un lavoro di fondazione". Per questa "fondazione" 
  occorreva intanto confrontarsi con l'approccio dominante negli studi umanistici, 
  lo storicismo crociano, salvandone l'approccio anti-metafisico e laico, ma allargandone 
  la prospettiva per ricomprendere la considerazione delle 'periferie' sociali 
  e culturali, con uno sguardo anche 'sociologico' capace di studiare la dimensione 
  della vita quotidiana delle persone comuni, quella del "ripetuto e ripetibile". 
  Per fare questo occorre fare uso di comparazione, oltre la "individuazione" 
  propria dello storicismo crociano, e occorre una nozione di popolo diversa da 
  quella allora corrente, per la quale la gramsciana opposizione tra egemonico 
  e subalterno risultava utile (insieme alllindicazione di una relazione 
  di solidarietà tra condizione sociale e modi culturali pure dovuta a 
  Gramsci).
  
  
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