SAPIENZA Università di Roma - Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di laurea in Storia, Antropologia, Religioni - a.a. 2016/2017

Eugenio Testa

Discipline DEA IV - Ernesto de Martino nella terra del rimorso
(codice 1023967) - 6 CFU -
M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

 

ANNO DI CORSO: 2 - SEMESTRE: 1
CdL: Storia, Antropologia, Religioni - L 42 - codice 15943
CURRICULUM: Teorie e pratiche dell'antropologia - secondo anno

CONTENUTI
A cinquanta anni dalla morte di Ernesto de Martino (1908-1965) il dialogo con il suo lavoro prosegue fecondo negli studi antropologici italiani, come testimoniano studi recenti e nuove edizioni critiche delle sue opere. Esemplificazione di questo dialogo può essere il confronto tra la ricerca svolta in Salento nel 1959 da de Martino e dalla sua équipe sul tarantismo, studiato allora come complesso simbolico e testimonianza di una condizione di malessere sociale e culturale, e la ricerca svolta sul Salento contemporaneo da Giovanni Pizza, che ci parla di un tarantismo 'patrimonializzato' e parte di complessi simbolici non meno articolati, ma di segno e contenuto del tutto diversi, tra "retoriche del tarantismo e politiche della cultura".

OBIETTIVI FORMATIVI
Il corso intende fornire rapide ma non sommarie indicazioni utili a una contestualizzazione della figura di de Martino, e gli strumenti critici utili a un confronto diretto con le sue ricerche, insieme a uno sguardo su prospettive di studio attuali, che rileggono il lavoro demartiniano in relazione all'analisi di dinamiche culturali contemporanee.

PROGRAMMA D'ESAME
1) Ernesto de Martino, La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud. Milano, Il Saggiatore, 2015 [prima edizione: 1961]
2) Pietro Angelini, Ernesto de Martino. Roma, Carocci, 2008
3) Giovanni Pizza, Il tarantismo oggi. Antropologia, politica, cultura. Roma, Carocci, 2015

CALENDARIO DELLE LEZIONI: martedì ore 17-19 aula di Paleografia, venerdì ore 11-13 aula di B di Storia moderna e contemporanea

INIZIO DELLE LEZIONI: venerdì 4 novembre 2016 (termine previsto: venerdì 20 gennaio 2017)

ESAMI: sessione invernale: martedì 31 gennaio 2017, martedì 14 febbraio e martedì 28 febbraio sempre dalle 11 alle 14 e sempre in aula di Paleografia

NOTE: L'esame sarà scritto, con alcune domande a risposta aperta sui principali argomenti trattati nei testi in programma.
E' prevista per gli studenti frequentanti la possibilità di svolgere esercitazioni di ricerca via web e di scrittura su temi trattati nel corso. Le esercitazioni saranno facoltative, verranno valutate e discusse individualmente e non influiranno sulla valutazione finale.


"Nella foto, scattata da Franco Pinna a Bella (Potenza) il 10 luglio 1959, sulla via del ritorno a Roma, sono riconoscibili tutti i membri dell'équipe tranne Diego Carpitella. Dall'alto in basso e da sinistra a destra si riconoscono, dopo i due bambini di Bella, Annabella Rossi, Giovanni Jervis, un notabile locale, Letizia Comba, Giuseppe De Sina - geometra di Bella, abituale informatore di de Martino -, Amalia Signorelli, Vittoria De Palma, un altro signore non ben identificato con il libro Sud e magia in mano, e infine, in primo piano, Ernesto de Martino" (E. de Martino, Etnografia del tarantismo pugliese. I materiali della spedizione nel Salento del 1959. A cura di Amalia Signorelli e Valerio Panza. Lecce, Argo, 2011, p. 56)


LEZIONI: argomenti trattati, materiali utilizzati, opere citate:

venerdì 3 novembre 2016

audio della lezione:
prima parte
seconda parte

Presentazione del corso: testi d'esame, possibilità di esercitazioni di scrittura per i frequentanti.
L'Istituto Ernesto de Martino per la conoscenza critica e la presenza alternativa del mondo popolare e proletario: http://www.iedm.it/
L'Associazione Internazionale Ernesto de Martino: http://www.ernestodemartino.it/ (si ricorda che nella sezione Archivio del sito dell'Associazione sono disponibili i testi pubblicati da Ernesto de Martino)
Ernesto de Martino è nato a Napoli il 1 dicembre 1908 ed è morto a Roma, per un tumore, il 6 maggio 1965. Abbiamo due testimonianze sulle sue ultime settimane di vita, due testi in cui si parla anche della morte, sia come fatto culturale sia come destino individuale: una intervista con Fausta Leoni per L'Europeo e il racconto di un incontro con Cesare Cases che era andato a trovarlo in ospedale (seguito da un commento di Franco Fortini).
Cenni di biografia: i principali luoghi della vita di de Martino sono state le città di Napoli, Bari, Roma e Cagliari, dove ha vissuto e si è formato e ha scritto e insegnato, e la Basilicata e il Salento dove ha fatto ricerca sul campo (si veda una cronologia essenziale).

martedì 8 novembre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte
Pietro Angelini, Ernesto de Martino, cap. 1 Le due guerre: da Naturalismo e storicismo nell'etnologia (1941) a Il mondo magico (1948); la crisi della civiltà europea; l'inadeguatezza teorica dell'etnologia classica; il dramma storico della presenza.
venerdì 11 novembre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte
Ancora sul tema di realtà/efficacia dei poteri magici nel Mondo magico; nesso tra queste tematiche demartiniane e la successiva nascita dell'etnopsichiatria; "[...] il problema della realtà dei poteri magici non ha per oggetto soltanto la qualità di tali poteri, ma anche il nostro stesso concetto di realtà, e [...] l'indagine coinvolge non soltanto il soggetto del giudizio (i poteri magici), ma anche la stessa categoria giudicante (il concetto di realtà)." (de Martino, Il mondo magico, p. 22 nell'ed.Boringhieri 1973); questo approccio viene discusso nel saggio di Fabio Dei e Alessandro Simonicca «'Il fittizio lume della magia': su de Martino e il relativismo antropologico» (1997).
Pietro Angelini, Ernesto de Martino, cap. 2 Gli anni del sole a picco: siamo all'incirca tra il 1946 e il 1958. 1) Le figure: Carlo Levi, Rocco Scotellaro, Antonio Gramsci; la discussione sul concetto di 'civiltà contadina': Levi, Manlio Rossi-Doria, Contadini del Sud di Scotellaro 2) Gli eventi: il contatto diretto con i 'subalterni' (per la via della politica e poi per quella dell'etnografia), la presenza nel sistema editoriale/culturale, l'inserimento nell'Università 3) I temi: il "folklore progressivi" 4) I metodi: "storicizzare".
martedì 15 novembre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte

La discussione sulla cultura popolare a metà degli anni Settanta fa spesso perno sul de Martino degli "anni del sole a picco": il Convegno di Firenze del 15-17 dicembre 1975 "Ernesto de Martino: riflessioni e verifiche", organizzato dall'Istituto Gramsci di Firenze e dall'Istituto Ernesto de Martino di Milano; le antologie di testi curate da P. Clemente, M.L. Meoni e M. Squillacciotti (Aspetti del dibattito sul folklore in Italia nel primo decennio del secondo dopoguerra : materiali e prime valutazioni: prima dispensa per l'Università di Siena, a.a. 1974/75, poi a stampa Il dibattito sul folklore in Italia, Milano, Edizioni di Cultura Popolare, 1976), da R. Rauty (Cultura popolare e marxismo, Roma, Editori Riuniti, 1976; poi in una nuova edizione Quando c'erano gli intellettuali. Rileggendo Cultura popolare e marxismo, Milano, Mimesis, 2015), da C. Pasquinelli (Antropologia culturale e questione meridionale. Ernesto De Martino e il dibattito sul mondo popolare subalterno negli anni 1948-1955, Firenze, La Nuova Italia, 1977) e da P. Angelini (Dibattito sulla cultura delle classi subalterne 1949-50, Roma, Savelli, 1977).
"Storicizzare": lo storicismo di de Martino, dall''anamnesi storiografica' che è alla base dell'etnologia storicista teorizzata in Naturalismo e storicismo nell'etnologia (1941), al compito dell'alta cultura tradizionale di storicizzare il popolare e il primitivo («Intorno a una storia del mondo popolare subalterno» 1949), al fine della ricerca etnologica definito nel 1953 («Etnologia e cultura nazionale negli ultimi dieci anni») come il rammemorare la storia passata dei subalterni, che non poteva in modo immediato essere attuale e comune, pur nell'ambito di un incontro tra compagni che tentavano di essere insieme in una stessa storia.
La linea De Sanctis-Croce-Gramsci teorizzata da de Martino nel 1953 per fondare teoricamente gli studi sulla cultura popolare e radicarli nella tradizione italiana teorizzazione che si attira una risposta polemica di Toschi).
"La verità sta di casa tra Palazzo Filomarino e il sasso di Matera" (così Ernesto de Martino terminava una lettera del 1953 a
Alberto M. Cirese, che la pubblicò qualche anno fa sul suo sito: http://www.amcirese.it/Z_RINVII/1953daparigiademartinook.pdf ; Palazzo Filomarino era la casa di Croce a Napoli).
Un confronto tra lo strutturalismo di Lévi-Strauss e lo storicismo di de Martino lo delineò sinteticamente Francesco Remotti nel 2008.

venerdì 18 novembre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte

La prospettiva storica (diacronica) nella ricerca e quella strutturale (sincronica) non sono necessariamente alternative, ma possono essere anche complementari; è quello che sostiene A. M. Cirese nel 1986 («Storicismo e strutturalismo»), nel numero monografico di La ricerca folklorica dedicato a Ernesto de Martino; ed è quello che ha praticato Vladimir Jakovlevic Propp nei suoi studi sulle fiabe, applicando un approccio morfologico (sincronico) nello studio del 1928 (Morfologia della fiaba, tradotto in italiano nel 1966) e un approccio storico genetico (diacronico) in quello del 1946 (Radici storiche dei racconti di fate, tradotto in italiano nel 1949 nella collana einaudiana diretta da Pavese con la collaborazione di de Martino).
Pietro Angelini, Ernesto de Martino, cap. 3 Dal campo al libro: la spedizione etnologica in Basilicata dell'ottobre 1952 e il libro Sud e magia (1959). De Martino compie oltre 10 viaggi in Basilicata nell'arco di dieci anni, tra il 1949 e il 1959, visitando 30 località diverse (alcune per più volte). Notizie dettagliate sui viaggi di de Martino, sulle pubblicazioni collegate e su altri autori che hanno lavorato sulla Basilicata nello stesso periodo si trovano qui: Scheda 1 - La Lucania, de Martino e gli altri: temi di studio e indicazioni bibliografiche [12/06/2006]; Scheda 2 - Ernesto de Martino in Lucania: 1949-1959 [12/06/2006]; Scheda 3 - Ernesto de Martino in Lucania: l'itinerario del settembre-ottobre 1952 [16/07/2006]; Scheda 4a - Presenze in Lucania 1935-1959 (mappa e tabelle) [24/07/2006]; Scheda 4b - Presenze in Lucania 1935-1959 (tabella estesa) [24/07/2006].
Dopo i primissimi soggiorni, a Tricarico, presso Rocco Scotellaro, de Martino scrisse pagine importanti pubblicate con il titolo di «Note lucane» (Società, VI, n. 4, dicembre 1950: 650-667).
Per la spedizione dell'ottobre 1952 de Martino potè valersi di qualche finanziamento e organizzò un gruppo di collaboratori con competenze specifiche; il viaggio venne pubblicamente annunciato e discusso sulla stampa prima e dopo la sua effettuazione e de Martino stesso ne scrisse in più occasioni (per i dettagli si vedano le schede sopra citate; i materiali di lavoro e le discussioni sono stati pubblicati a cura di Clara Gallini: Note di Campo. Spedizione in Lucania, 30 sett.-31 ott. 1952, Lecce, Argo, 1995 e L'opera a cui lavoro. Apparato critico e documentario alla 'Spedizione in Lucania', Lecce, Argo, 1996).
I rapporti all'interno dei gruppi di lavoro che de Martino, a partire dalle prime esperienze in Basilicata (giugno e ottobre 1952), costituiva per le sue ricerche non erano paritari, così come le ricerche non erano interdisciplinari. C'era sempre un problema storiografico-etnologico su cui la ricerca verteva e c'era sempre una direzione scientifica unica per la ricerca, e sempre de Martino formulava il primo ed esercitava la seconda. Frequente era la presenza di fotografi e cineasti nelle équipe di lavoro, ma de Martino non riconosceva alle fotografie e ai film altro che lo statuto di documenti al servizio del discorso scientifico principale. Cionondimeno, queste esperienze furono decisive per la nascita di una fotografia e di una cinematografia etnografiche in Italia.

martedì 22 novembre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte
Tra gli interventi che de Martino dedica alle ricerche in Basilicata, dopo l'articolo «Note lucane» del 1950 e prima dei volumi Morte e pianto rituale e Sud e magia, spicca il testo «Note di viaggio» (Nuovi Argomenti, I, n. 2, maggio-giugno 1953: 47-79). Rispetto a «Note lucane» possiamo notare elementi di continuità e differenziazioni. La continuità è nello stile di costruzione del testo, che alterna la esplicita, ripetuta e critica messa in scena dell'autore nel proprio ruolo di ricercatore, con le voci dei suoi interlocutori che riferiscono testi e producono racconti sulle loro vite; la differenziazione è frutto dei tre anni passati, con l'accumularsi di documentazione etnografica e lo sfumare dell'interesse per le tematiche del 'folklore progressivo'. Abbiamo così, in «Note di viaggio», il rispecchiamento delle tematiche su cui de Martino ha lavorato e lavorerà ancora negli anni seguenti: canti popolari, magia, fascinazione, lamento funebre.
Solo gradualmente de Martino riuscirà a chiarirsi come dare ordine concettuale alla ricerca, prima isolando il tema del lamento funebre, concentrandosi su di esso anche nella raccolta dei materiali etnografici e pubblicando infine Morte e pianto rituale nel 1958, e solo poi tornando sul tema originario della magia, ma in termini molto più concentrati rispetto alle ipotesi di partenza: e sarà Sud e magia (1959). Il tema centrale intorno al quale i dati etnografici sulla "bassa magia cerimoniale" lucana vengono organizzati è quello della fascinazione, letta non nel suo isolamento di relitto folklorico, ma come complesso mitico-rituale, che all'azione delle pratiche magiche associa la presenza di un simbolismo in cui è ormai forte la componente di origine cattolica. Nell'ottica di una "storia religiosa del Sud" (che proseguirà con La terra del rimorso) è fondamentale per de Martino analizzare in modo complementare il magismo e il cattolicesimo 'popolare', ed entrambi in relazione al ruolo dell'intellettualità laica meridionale e ai suoi limiti nella battaglia per uno sviluppo del pensiero moderno (l'ideologia della jettatura è un esito compromissorio di questa battaglia).
venerdì 25 novembre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte
Pietro Angelini, Ernesto de Martino, cap. 4 'Gli ultimi tempi'. In coincidenza con il suo ingresso all'Università come professore di Storia delle religioni (1959, a Cagliari), de Martino chiude la stagione delle ricerche sul campo nel Meridione. Dopo la pubblicazione a distanza ravvicinata dei tre libri che principalmente di quelle ricerche erano frutto (Morte e pianto rituale nel 1958, Sud e magia nel 1959 e La terra del rimorso nel 1961) de Martino avrà il tempo di curare una raccolta di suoi saggi dal titolo programmatico (Furore simbolo valore, nel 1962: la crisi, gli strumenti per affrontarla, il riscatto), ma non quello di portare a termine la ricerca di carattere teorico su cui stava lavorando. Il tema era ancora quello del dramma (storico e collettivo, psicologico e individuale) del rischio della presenza, dell'esserci nel mondo, e quello degli strumenti con cui la presenza umana (dei gruppi e degli individui) nel mondo si afferma e si espande, producendo cultura. De Martino morì il 6 maggio del 1965, lasciando una grande mole di materiale preparatorio per il volume in lavorazione: ipotesi di indice, parti di capitoli, schede di lettura, note e appunti vari. Solo nel 1977 Clara Gallini poté portare a termine la cura dell'edizione del libro (progettata da Angelo Brelich a partire già dai mesi successivi alla morte di de Martino): La fine del mondo. Contributo all'analisi delle apocalissi culturali.
Struttura e contenuti del libro; apocalissi culturali e apocalissi psicopatologiche; il problema del tempo nello studio delle apocalissi; abbozzo di una teoria storico-religiosa demartiniana 'mista' di tempo: tempo delle origini, tempo ciclico, tempo lineare e tempo etico come fasi distinte, successive o alternanti o compresenti; la visione cristiana del tempo è la più elaborata e matura che l'umanità abbia espresso, con la sua complementarità di linearità (apocalissi finale e parusìa) e ciclicità (anno liturgico, imperniato su passione/resurrezione del dio-uomo, che costituisce un mito/rito protettivo contro la maggiore crisi possibile della presenza: la morte); ma quella cristiana è pur sempre (non solo ma soprattutto) una religione, e l'aspetto in essa prevalente è quello della destorificazione: per una storia i cui valori siano consapevolmente di origine e destinazione integralmente umani occorre fondare e vivere un tempo etico; "l'ethos trascendentale del trascendimento della vita nella valorizzazione intersoggettiva" può essere quello di Rocco Tammone, abitante della Ràbata di Tricarico, che è oberato di debiti contratti necessariamente per sopravvivere e tuttavia "malgrado la tentazione continua delle cose, Rocco Tammone resta un uomo pieno di umanità, anzi si capisce che la sua umanità si è costituita in aspra lotta con quella tentazione. Quando Rocco Scotellaro, sindaco socialista di Tricarico, fu incarcerato, Rocco Tammone gli scrisse una lettera che merita di essere conosciuta", scrive de Martino nel 1950 in «Note lucane», e riporta la lettera, e la commenta dicendo che essa pone il problema generale della umanità e della civiltà della gente rabatana: umanità, civiltà, cultura che la gente rabatana fonda e vive nella lotta per essere nella storia ed esserne protagonista. Nel 1950 de Martino non usava l'espressione "ethos del trascendimento", ma di questo si tratta.
martedì 29 novembre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte

Una discussione sulla pubblicazione de La fine del mondo venne ospitata dalla rivista Quaderni storici nel 1979. Vi presero parte Clara Gallini, Cesare Cases, Pier Cesare Bori, Carlo Ginzburg, Giovanni Jervis, Michele Risso e Luigi Lombardi Satriani. Cases e Ginzburg criticano come idealista la nozione di 'ethos del trascendimento', Ginzburg apprezza quella di 'appaesamento' (e inserisce il Mondo magico in una lista di libri "dell'anno zero", concepiti mentre l'Europa pareva sul punto di cadere in mano al nazismo e si rischiava effettivamente la fine di un modo; gli altri sono Dialettica dell'illuminismo di Adorno, Paura della libertà di Levi, Apologia della storia di Bloch, Une histoire modèle di Queneau).
Amalia Signorelli è stata protagonista nella riflessione sull'esperienza etnografica di de Martino, in particolare per quanto riguarda la ricerca del 1959 nel Salento, alla quale lei stessa aveva partecipato. Tra i suoi contributi principali si segnalano il saggio «Lo storico etnografo. Ernesto de Martino nella ricerca sul campo», pubblicato nel 1986 nel numero monografico dedicato dalla Ricerca folklorica a "Ernesto de Martino. La ricerca e i suoi percorsi" (nella stessa sede Signorelli aveva pubblicato anche un primo inventario dei documenti dell'Archivio de Martino relativi alla ricerca del 1959), e la cura del volume Etnografia del tarantismo pugliese. I materiali della spedizione nel Salento del 1959 (Lecce, Argo, 2011; numero 7 della collana 'L'opera di Ernesto de Martino', dedicata soprattutto all'edizione dei materiali dell'Archivio de Martino).
I materiali pubblicati in questo volume consentono di seguire tutte le fasi della ricerca sul tarantismo, dalla formazione dell'équipe e preparazione scientifica precedente la partenza, al lavoro di campo (il soggiorno in Salento si estese dal 20 giugno al 10 luglio 1959), ai primi passi della elaborazione dei documenti dopo il ritorno a Roma.
Il gruppo di lavoro era composto, oltre de Martino (che allora aveva 51 anni), da Vittoria De Palma (assistente sociale, 32 anni), Franco Pinna (fotografo, 34 anni), Giovanni Jervis (psichiatra, 26 anni), Letizia Comba (psicologa, 27 anni), Diego Carpitella (etnomusicologo, 35 anni), Amalia Signorelli (antropologa culturale, 25 anni); con loro era anche Annabella Rossi (26 anni), che partecipò alla spedizione pur non facendo parte dell'équipe scientifica.
Partendo dalla riflessione sui materiali della ricerca (in particolare su quelli pertinenti agli eventi nella cappella di s. Paolo del 28 e 29 giugno), Amalia Signorelli ha individuato alcune possibili piste di approfondimenti interpretativi sul tarantismo, che vanno oltre ciò che possiamo leggere nelle pagine della Terra del rimorso; il ruolo assolutamente preponderante delle donne, innanzitutto, e poi una dimensione anche collettiva delle loro interazioni in cappella; la ricerca di un rapporto con un pubblico, anche con esibizioni di carattere marcatamente erotico, in un passaggio dal rito al teatro che fa ipotizzare a cosa alludesse un Baglivi quando all'inizio del '700 parlava di "carnevaletti delle donne", alla vitalità di una istituzione culturale dai tratti diversi rispetto a quelli ormai disgregati e declinanti riscontrabili nel 1959; e infine la funzione dei musicisti, e in particolare di quelli eminenti tra loro, come il violinista Luigi Stifani e sopratttutto la tamburellista Salvatora Marzo, zi' Tora, di Nardò, che si configurano come figure sociali, 'controllori' locali del tarantismo, dalla diagnosi alla cura (ricordano i 'parenti del santo' propri dei culti dei santi taumaturghi).

venerdì 2 dicembre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte
E. de Martino, La terra del rimorso: Prefazione, Introduzione.
Nella Prefazione ci sono, come d'uso, anche i ringraziamenti; il primo è «alle "persone vive" che furono piegate, nel corso dell'indagine etnografica, a sostenere la parte innaturale di "documenti storici": violenza non evitabile che l'etnografo dovette compiere e che gli fece contrarre verso queste "persone vive" un debito non interamente estinguibile con un'opera di storiografia religiosa, per quanto coscienziosamente concepita e scritta». Ma la Prefazione già indica, anche, oggetto, contesto, prospettiva e metodo della ricerca. L'oggetto è il tarantismo, definito come fenomeno storico-religioso, nato nel Medioevo e sviluppatosi fino al '700, formazione religiosa minore e contadina ridotta a relitto, oggi, ma in passato istituzione viva e coinvolgente anche altri strati sociali, caratterizzata dal simbolismo della taranta che morde e avvelena, e da quelli della musica, della danza e del colore, che curano; il contesto è la terra del rimorso (il cattivo passato che torna, non scelto, e opprime), che in senso stretto è la Puglia, sede del tarantismo, ma in senso più largo è il meridione contadino italiano, e in senso più largo ancora è tutta la parte del pianeta che attende il riscatto da una situazione di miseria materiale e culturale; la prospettiva sul piano conoscitivo è dare un contributo (molecolare, a partire da una minuta vicenda locale) alla storia religiosa del Sud, esaminando l'interazione tra religiosità popolare, cattolicesimo, magia naturale, ragione illuministica, e sul piano etico politico è dare una nuova dimensione alla questione meridionale, contribuire a un nuovo umanesimo che sappia combattere il cattivo passato che torna e paralizza nel suo cono d'ombra; il metodo è il tenere uniti nell'analisi oggetto, contesto e prospettiva così definiti, evitando di considerare isolatamente fenomeni e istituti culturali, e mettendosi nelle condizioni di scegliere il passato importante da indagare in funzione dei problemi presenti (e non di subirlo, né di vivacchiare intellettualmente in uno storicismo pigro).
Nell'Introduzione, c'è subito la dichiarazione dell'importanza per l'etnologia di quello che oggi chiameremmo 'riflessività': «giustificare a se stessi e al proprio pubblico entrambi i termini del rapporto, cioè chi viaggia per conoscere e chi è visitato per essere conosciuto». E' una svolta imposta dai tempi mutati (fine del colonialismo, 'rimpicciolimento' del pianeta) e consentita da nuovi strumenti concettuali (marxismo, psicoanalisi, esistenzialismo). Il ricercatore nella ricerca c'è, non deve nascondersi, deve darsi e dare ragione di come e perché fa ricerca, e rendere espliciti i passaggi della oggettivazione nella analisi storico-culturale delle sue motivazioni: solo questo renderà intelligibili e sensati per i suoi lettori i risultati del suo lavoro, che altrimenti non saranno che futilità e pettegolezzo (il concetto di 'pettegolezzo' torna nella Fine del mondo, nel brano 157). E' una svolta che distanzia dall'angustia teorica e morale dell'etnologia positivista, e che è testimoniata da libri come Tristi tropici, in cui Claude Lévi-Strauss dice (citato da de Martino) che l'inchiesta etnografica è una scelta radicale che «implica la messa in causa del sistema nel quale si è nati e cresciuti», che «se l'occidente ha prodotto degli etnografi è perché un cocente rimorso doveva tormentarlo», che «l'etnografo si può tanto poco disinteressare della sua civiltà e declinare ogni responsabilità delle sue colpe che la sua stessa esistenza di etnografo è incomprensibile se non come tentativo di riscatto: la condizione di etnografo è simbolo di espiazione». De Martino fa sue queste posizioni, ma avverte che la messa in causa del sistema nel quale si è nati e cresciuti ha dei limiti, non può spingersi fino a un relativismo estremo che renderebbe incapaci di comprendere sia se stessi sia gli altri: «noi non possiamo mettere in causa il risultato fondamentale dell'Umanesimo di cui siamo, volenti o meno, gli eredi: cioè la coscienza dell'origine e della destinazione umana di tutti i beni culturali, anche di quelli - anzi "soprattutto" di quelli - che includono in un modo o nell'altro il pensiero di un'origine o di una destinazione metastorica, extramondana, divina della cultura. Noi non possiamo abbassare le armi della critica davanti al "numinoso" e rinunziare a ritrovare gli uomini e le motivazioni umane che l'hanno di volta in volta generato nella concretezza delle diverse situazioni culturali. La coscienza dell'origine e della destinazione umana di tutti i beni culturali non è una fra le tante coscienze possibili che se ne può avere, ma è la nostra stessa coscienza di etnografi che ci segue come un'ombra, è lo strumento di analisi più indispensabile che portiamo con noi». Riportando l'attenzione sulla dimensione 'locale' della ricerca sul tarantismo, de Martino conclude il ragionamento ricordando che «considerazioni del genere non valgono soltanto per l'etnografia delle cosiddette civiltà primitive, ma anche per l'etnografia metropolitana, almeno nella misura in cui essa si rivolge allo studio di fenomeni arcaici ancora reperibili nella vita culturale delle nazioni moderne. Il fatto che, in questo caso, i viaggi da intraprendere siano più brevi e meno faticosi non introduce nessuna sostanziale differenza, poiché si tratta sempre di un incontro con comportamenti umani desueti, e che si oppongono al sistema "nel quale siamo nati e cresciuti", richiamandosi a ideologie non più attuali, e di cui non possediamo più la chiave».
martedì 6 dicembre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte

[una indicazione bibliografica relativa alla discussione di ieri 5 dicembre sul numero 2-3 del 2015 di Lares, dedicato a A.M. Cirese e la demologia come scienza 'normale': Pietro Clemente, «De Martino dentro di noi: appunti tra storia e genealogia», in C. Gallini, M. Massenzio (a cura di), Ernesto De Martino nella cultura europea, Napoli, Liguori, 1997, p. 193-207].
E. de Martino,
La terra del rimorso: Introduzione.
Etnografia —> storia religiosa del Sud —> nuova questione meridionale <— movimento di rinascita e emancipazione del Mezzogiorno: lo studio della storia fatta deve servire a comprendere il presente e a meglio operare per la storia da fare. Questo tentativo di comprendere può giovarsi poco di una tradizione di studi come quella di Pitrè, illustre per la documentazione raccolta, ma teoricamente inerte, sostanzialmente ferma com'è al romanticismo risorgimentale, e impigliata in una concezione che vede svolgersi due storie separate e parallele, quella dei dominanti e quella dei dominati. La storia invece è sempre una, e in essa stanno sia gli istituti culturali dei dominanti sia quelli dei dominati; questi ultimi possono essere visti nel presente, e allora sono relitti che segnalano battute d'arresto dell'espansione della cultura egemonica, oppure nel passato, quando erano parte integrante di complessi vitali - ma in entrambi i casi la considerazione storica è unitaria. Fino a Gramsci il meridionalismo si è disinteressato della religiosità popolare, e la folkloristica si è disinteressata della dimensione sociale ed economica. Nel dopoguerra si è cominciato a mettere in relazione le due dimensioni. Dimensione sociologica della storia religiosa + dimensione storico-religiosa della questione meridionale = progetto di storia religiosa del Sud; per la sua realizzazione il ricorso alla ricerca di campo è fondamentale.
De Martino racconta che la prima idea di occuparsi di tarantismo gli venne osservando alcune foto di André Martin che ritraevano tarantati nella cappella di San Paolo a Galatina. Erano scene (analoghe a quelle poi ritratte nel 1959 da Franco Pinna) che evidenziavano 'estreme contraddizioni', tra i comportamenti dei tarantati e il luogo stesso in cui ritualmente dovevano avvenire, intitolato a quel San Paolo che per loro era "Santo Paolo delle tarante" e per il cattolicesimo ufficiale era l'apostolo delle genti, il normalizzatore della Chiesa di Corinto. Contraddizioni che proprio in quanto tali sollecitavano e sfidavano l'impegno alla coerenza storiografica, e parlavano di «una storia che segnalava in qualche dove, in un quando, e in un come determinate battute di arresto del processo di espansione della civiltà cristiana».
Come si formò l'équipe? Le competenze diverse utili da avere sul campo erano indicate dalla stessa natura teorica della
ipotesi interpretativa del tarantismo: ipotesi di tipo storico-culturale, storico-religioso, e non medico-naturalistico.
Ma nella letteratura colta sul tarantismo che si era venuta sviluppando fin dal '600 era proprio l'interpretazione medica a essere quella prevalente, via via articolandosi entro le due categorie principali della sindrome da avvelenamento (aracnidismo) e del disordine psichico. Era con questa interpretazione che bisognava innanzitutto confrontarsi, e dunque competenze mediche erano necessarie per l'équipe: esse vennero rappresentate da Giovanni Jervis, psichiatra, e da Letizia Comba Jervis, psicologa (Sergio Bettini, parassitologo, fu consulente 'in sede'). Altro tema che si sapeva importante, e presente nella letteratura, era quello del ruolo curativo della musica: e fu il settore affidato a Diego Carpitella, che aveva già più volte lavorato con de Martino, e che aveva già svolto per suo conto ricerche etnomusicologiche di campo in Italia, compresa quella del 1954-55 con Alan Lomax [l'archivio di Lomax è pubblicato in rete: http://research.culturalequity.org/ ; alle 'registrazioni italiane' è dedicata la serie di cd Italian Treasury ; il lavoro di Lomax è presente anche nell'American Folklife Center della Library of Congress di Washington e presso lo Smithsonian Center for Folklife and Cultural Heritage ]. Amalia Signorelli, allieva dello stesso de Martino, doveva applicare le sue competenze di antropologa culturale per consentire alla ricerca di tenere conto degli aspetti economici e sociali coinvolti. Vittoria De Palma, infine, come assistente sociale aveva soprattutto il compito di facilitare le relazioni tra i ricercatori e le persone da intervistare (ma grazie alle pubblicazioni dei materiali di lavoro delle ricerche demartiniane possiamo apprezzare il valore globale del ruolo svolto sul campo da De Palma); a questo aspetto si legava il problema della trasformazione sociale e culturale delle condizioni di miseria materiale, psicologica e culturale delle popolazioni meridionali, di cui istituzioni come il tarantismo erano frutto e indice, trasformazione che era l'orizzonte che dava senso alla ricerca demartiniana - ma de Martino sottolineò la specificità del momento conoscitivo, che sul campo andava praticata e salvaguardata. Solo di Franco Pinna, fotografo, con il quale de Martino aveva tante volte lavorato, nulla si dice, né presentando l'équipe né in tutto il libro; e questo fu causa di definitivo allontanamento tra Pinna e de Martino [su Franco Pinna si può leggere lo scritto del 1980 di Diego Carpitella «Franco Pinna e la fotografia etnografica in Italia»]
Infine, a margine, segnaliamo il 'caso Samugheo'. La fotografa Chiara Samugheo si recò a Galatina nel giugno 1954 e realizzò un servizio fotografico che produsse le prime immagini in assoluto su quanto avveniva nella cappella di San Paolo.14 fotografie furono pubblicate su Cinema nuovo insieme a un testo di Emilio Tadini: C. Samugheo, E. Tadini, «Le invasate». Cinema Nuovo, n. 50, gennaio 1955: 18-24. De Martino non parla di queste fotografie (precedenti quelle di Martin) nel suo libro, e Amalia Signorelli vi accenna appena (nel saggio su La Ricerca Folklorica del 1986 e nell'Introduzione al volume del 2011), e solo perché quelle foto avevano suscitato reazioni negative presso alcune tarantate e loro familiari. Le foto sono state ripubblicate nel volume Immagini del tarantismo a cura di Luigi Chiriatti (Lecce, Capone, 2002); ne parla Francesco Faeta in Fotografi e fotografie (Milano, FrancoAngeli, 2006, a p. 154); sono l'oggetto di una intervista di Sergio Torsello a Samugheo (S. Torsello, Interviste sul tarantismo. Calimera, Kurumuny, 2015); le 14 fotografie sono state depositate dall'autrice presso l'Archivio fotografico del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma.

venerdì 9 dicembre

audio della lezione:
prima parte
[incompleto]

seconda parte

E. de Martino, La terra del rimorso: Tarantismo e malattia; L'autonomia simbolica del tarantismo.
Chi sono i tarantati? I tarantati sono tutti quelli che si dichiarano tali, si comportano come tali e che la comunità riconosce come tali.
Il fenomeno nel Salento del 1959 riguarda un centinaio di casi, e coinvolge complessivamente qualche migliaio di persone (oltre ai tarantati, i loro familiari, i suonatori e il pubblico dei 'credenti').
Il tarantismo non è riducibile a una malattia, sia in termini di sindrome da avvelenamento, sia in termini di disordine psichico. Cinque indici di lettura dei dati proposti dalla ricerca sul campo provano invece che si tratta di un fenomeno culturalmente condizionato: Il fatto che il 'feudo' di Galatina sia immune dal tarantismo, perché posto sotto la protezione di San Paolo; la ripetizione annuale delle crisi e la loro elettività stagionale e calendariale; la preponderanza del sesso femminile nei casi di tarantismo; una tendenza alla replica dei casi in ambito familiare; la concentrazione della maggioranza dei casi intorno all'età adolescenziale per l'insorgere del fenomeno (il 'primo morso').
I sintomi del reale avvelenamento da morso del ragno Latrodectus tredecimguttatus hanno offerto elementi per il 'modello dell'avvelenato': "in occasione di determinati momenti critici dell'esistenza - come la fatica del raccolto, la crisi della pubertà, la morte di qualche persona cara, un amore infelice o un matrimonio sfortunato, la condizione di dipendenza della donna, i vari conflitti familiari, la miseria, la fame, le più svariate malattie organiche - insorgeva "la crisi dell'avvelenato", utilizzando il modello del latrodectismo simbolicamente riplasmato come morso di taranta che scatena una crisi da controllare ritualmente mediante l'esorcismo della musica, della danza e dei colori".
De Martino sottolinea che "nella prospettiva dell'analisi culturale il tarantismo non si manifestava come disordine psichico, ma come ordine simbolico culturalmente condizionato (l'esorcismo della musica, della danza e dei colori), nel quale trovava soluzione una crisi nevrotica anch'essa culturalmente modellata (il comportamento dell'avvelenato)". "Il dispositivo di evocazione e di deflusso, cioè l'esorcismo in azione, poteva non funzionare: ma il dispositivo come tale non era una "malattia", ma uno strumento di reintegrazione, un ordine tradizionalizzato di possibili efficacie simboliche, che disciplinava la crisi, le assegnava luoghi, tempi e modi determinati, e si sforzava di ricondurla verso un nuovo equilibrio. I singoli tarantati potevano occasionalmente essere considerati dei malati: ma il tarantismo cercava di introdurre nella malattia e nel modo di reagire ad essa un suo proprio modellamento, una sua propria regola culturalmente funzionante dell'abnorme e del normale, del dannoso e dell'efficace, del critico e del risolutivo."
"Taranta, morso, veleno hanno dunque nel tarantismo un significato simbolico: danno orizzonte a pulsioni inconsce e alle reazioni che esse suscitano nella coscienza individuale."
"Questo è nella sua sostanza il simbolo della taranta come orizzonte mitico-rituale di evocazione, di configurazione, di deflusso e di risoluzione dei conflitti psichici irrisoluti che "rimordono" nell'oscurità dell'inconscio. Nella sua qualità di modello culturale questo simbolo prospetta un ordine mitico-rituale per comporre questi conflitti e per reintegrare gli individui nel gruppo."
"Il tarantato esegue la danza della piccola taranta (la tarantella) come vittima posseduta dalla bestia e come eroe che piega la bestia danzandola: la compie nella tensione di 'identificazione'e 'distacco agonistico', di 'lasciarsi andare' e 'riprendersi', di 'farsi ragno'e 'danzare il ragno' ".
Dunque: alle crisi che possono insorgere in determinati momenti dell'esistenza di dà risposta rituale e orizzonte culturale con il simbolo della taranta, che morde e avvelena, ma che può essere ritualmente vinta in vista di una reintegrazione nell'ordine culturale. Il simbolo della taranta trae spunti dal reale (dai comportamenti e dall'aspetto aggressivi del ragno Lycosa tarentula, in realtà poco pericoloso, e dal veleno del poco appariscente Latrodectus tredecimguttatus), ma ne è autonomo. Non è il reale a produrre il simbolo, ma il bisogno di simbolo a cercare i suoi ingredienti nel reale: "L'aspetto e i costumi della lycosa suggeriscono quindi una serie di immagini particolarmente adatte a dar orizzonte alle oscure pulsioni dell'inconscio, all'aggressione del passato cifrato che torna nell'estraneità del sintomo nevrotico, al morso interno che induce a cercare 'ciò che morde', al sogno di rinnovamento totale, di erotismo e di fecondità, in concomitanza della stagione in cui si raccoglie quanto è stato seminato e si pagano i debiti contratti sul piano economico e su quello esistenziale".
Peccato però che il mito che narra la taranta ci venga restituito nella Terra del rimorso solo nelle interpretazioni dell'etnologo, e non anche in quelle del discorso locale.

martedì 13 dicembre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte
E. de Martino, La terra del rimorso: ancora sull'autonomia del simbolo della taranta. L'etnografia dell'autonomia del simbolo: Maria di Nardò, Filomena di Cerfignano, Pietro di Nardò.
Maria di Nardò: etnografia dell'esorcismo + anamnesi del concreto dramma psichico di Maria. Il ruolo dei suonatori: "E davvero le cose si svolgevano sotto i nostri occhi come se si trattasse di far sì che il corpo-taranta della tarantata si tramutasse in corpo-strumento, e quindi in corpo ritmico e melodico, per ristabilire così il rapporto con qualche cifrato patire psichico. Di tale vicenda i suonatori erano i mediatori, gli stimolatori, le guide" [i suonatori erano Luigi Stifani (violino), Salvatora Marzo (tamburello), Pasquale Zizzeri (organetto), Cosimo Mì (chitarra): così risulta dai materiali della ricerca pubblicati da Amalia Signorelli e Valerio Panza in Etnografia del tarantismo pugliese (Lecce, Argo, 2011; vedi a pag. 310); per il ruolo dei musicisti di Nardò nello spettacolo "Sentite buona gente" del 1967 si veda Roberto Leydi e il "Sentite buona gente". Musiche e cultura nel secondo dopoguerra, di Domenico Ferraro (Roma, Squilibri, 2015)].
Il sistema simbolico di primi morsi e ri-morsi: Filomena di Cerfignano, Pietro di Nardò.
Il simbolo non operante: Michele di Nardò, Giorgio di Galàtone.
Il rimorso nella canicola: l'occasione del primo morso e il carattere dei ri-morsi nella discussione di diversi casi di tarantate; il ruolo importante dell'ambiente (la famiglia, il vicinato) nella diagnosi e durante la terapia; il ruolo di medici, sacerdoti, carabinieri; il nesso Puglia-tarantismo.
venerdì 16 dicembre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte
E. de Martino, La terra del rimorso.
Tarantismo ed economia: i ceti sociali coinvolti nel fenomeno del tarantismo, nel 1959 (contadini poveri) e storicamente (fino all'Ottocento, anche altri ceti); forte incidenza sui bilanci delle famiglie dei tarantati delle spese sostenute per le terapie domiciliari (compensi ai suonatori); i flussi delle offerte per la cappella di San Paolo a Galatina, raccolte durante le terapie domiciliari o direttamente in cappella in occasione della festa di giugno dei santi Pietro e Paolo.
Tarantismo e cattolicesimo. Il logorio dell'esorcismo coreutico musicale (riduzione del numero di suonatori; impoverimento del repertorio musicale) è sintomo e emblema dello stato di estremo declino del tarantismo come istituto culturale. Ma, ci dice de Martino, "il declino dell’esorcismo tradizionale condotto mediante simboli musicali, coreutici e cromatici appariva legato, sul terreno strettamente religioso, al rapporto fra taranta e S. Paolo, promosso dall’influenza cattolica. Di fatto si trattava di un rapporto estremamente confuso e contraddittorio, nel quale coesistevano un S. Paolo protettore dei tarantati, al quale si implorava la grazia, un S. Paolo che inviava le tarante per punire qualche colpa, e un S. Paolo-taranta o una taranta-S. Paolo esorcizzabile con la musica, la danza e i colori; infine nel corso dei dialoghi, con una voce allucinatoria, appariva ora la taranta e ora S. Paolo, e ora alcunché che poteva essere l’una e l’altro. Insomma le cose si svolgevano come se due diversi simbolismi, quello di S. Paolo protagonista dell’episodio di Malta e quello della taranta che morde e rimorde, cercassero di fondersi in un nuovo equilibrio culturale senza riuscirvi."
Scenario del processo di disgregazione del tarantismo operato dal culto di San Paolo era stato, lungo due secoli, la cappella di Galatina. Leggenda che fonda la Casa di San Paolo con pozzo miracoloso come luogo di guarigione dai morsi avvelenatori; sanpaolari (guaritori e incantatori di serpenti) [sul culto popolare per San Domenico e per San Paolo in connessione con i serpenti: Alfonso Di Nola, Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana. Torino, Boringhieri, 1976; Annamaria Rivera, Il mago, il santo, la morte, la festa. Forme religiose nella cultura popolare.
Bari, Dedalo, 1988]; lunga contesa tra Capitolo di Galatina e famiglia nobile dei Vignola sulla cappella, costruita a metà del '700, e consacrata infine nel 1793; riconoscimento di fatto da parte della chiesa delle pratiche rituali del tarantismo: la visita pastorale a Galatina del 1837 dell'arcivescovo Grande.
Etnografia degli eventi nella cappella di San Paolo a Galatina del 28 e del 29 giugno 1959: nel libro de Martino pubblica una riscrittura del documento elaborato sul campo da Amalia Signorelli, che fondeva le note di campo di quei due giorni della stessa Signorelli, e di Vittoria De Palma, Letizia Comba, Giovanni Jervis. La interpretazione demartiniana è netta: "Avevamo ancora nella memoria l’esorcismo musicale visto pochi giorni prima a casa di Maria di Nardò, così ordinato e regolare, così nettamente scandito nei suoi cicli coreutici sempre uguali, così controllato dal ritmo del tamburello e dalla melodia del violino, così drammaticamente impegnato verso l’evocazione e il deflusso di oscure sollecitazioni psichiche mediante la musica, la danza e i colori: ma ora, davanti ai nostri occhi, non vi era che un intrecciarsi di crisi individuali senza orizzonte, il disordine e il caos. In cappella non vi erano né la musica, né i nastri colorati, né l’ambiente raccolto del domicilio, né tutto il vario simbolismo messo in moto dall’esorcismo musicale in azione: e in assenza di questo tradizionale dispositivo di evocazione e di deflusso i tarantati naufragavano." Le invocazioni a Santu Paulu meu de le tarante mostravano "quale inestricabile nodo di contraddizioni culturali fosse stato stretto in questa cappella nei due secoli della sua storia", ma il dato che appariva a de Martino era quello di una disgregazione del tarantismo "in una serie di grotteschi ibridismi senza avvenire, e soprattutto in una serie di crisi senza orizzonte. Trasportato in cappella, amputato dell’esorcismo musicale e di tutti i simbolismi di evocazione e di deflusso che in quell’esorcismo entravano in azione, il tarantismo si spogliava di ogni dignità culturale, di ogni efficacia simbolica, e recedeva al livello di singoli episodi morbosi sui quali era chiamato a giudicare non più lo storico della vita religiosa, ma lo psichiatra".
Come abbiamo già visto, la possibilità di prospettive interpretative in parte diverse e comunque più articolate avrebbe segnalato Amalia Signorelli nella Introduzione al volume da lei curato con Valerio Panza (Etnografia del tarantismo pugliese. Lecce, Argo, 2011). In quanto l'équipe aveva visto in cappella Signorelli riteneva si potesse sviluppare la riflessione sulla preponderanza delle donne, sulla dimensione anche collettiva delle loro interazioni in cappella, sulla ricerca di un rapporto con un pubblico (con il tema di un passaggio dal rito al teatro).
martedì 20 dicembre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte
E. de Martino, La terra del rimorso. Parte seconda: il tarantismo come religione del rimorso; Parte terza: la comparazione non mira alla riduzione del tarantismo a caso particolare di qualcos'altro (del tipo dei culti di possessione, o degli antecedenti classici), ma all'individuazione della sua originalità storica; la comprensione storiografica mira a ricostruire coerenze culturalmente condizionate nei comportamenti apparentemente irrazionali; "il significato culturale del tarantismo risulta non tanto dal suo rapporto con i paralleli etnografici e con gli antecedenti classici, quanto dal fatto che la sua origine, le sue modalità e il suo declino – cioè la sua intera orbita storica – appaiono legati a momenti decisivi o importanti della stessa storia interna della civiltà occidentale"; e infine, tornando sul tema dell'etnografia moderna che studiando l'altro mette in causa se stessa, de Martino osserva che "il metodo fondamentale di controllo e di oggettivazione di quel «privato» sentire che minaccia sempre di farsi valere come «privato», resta la prospettiva storico-culturale col suo principio umanistico, da provare e riprovare continuamente, dell’origine e della destinazione integralmente umane di tutti i beni culturali: senza questa egemonia della scienza storica e della scelta storicistica tutte le scienze umane dell’occidente entrano in crisi, esponendosi al triplice dissolvente assalto dell’irrazionalismo, del relativismo e del neutralismo".
martedì 10 gennaio 2017
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Giovanni Pizza, Il tarantismo oggi. Trasformazione patrimoniale del tarantismo; effetti sociali della Terra del rimorso sui luoghi della ricerca; la taranta non è più solo pugliese; antropologia pubblica: dialogo, confronto e reciproche influenze tra ricercatori accademici, ricercatori locali, amministratori, artisti, cittadini; uscire dal cono d'ombra del cattivo presente: Gramsci e de Martino; il ricercatore accademico che fa antropologia del patrimonio è consapevole della patrimonializzazione dell'antropologia da parte dei protagonisti della ricerca e della politica culturale locali; evitare il populismo scientifico, lavorare per la popolarizzazione della conoscenza critica; la memoria etnografica demartiniana è operante e operata sia nell'antropologia accademica, sia nella produzione locale di cultura, che fra loro si intrecciano nel corso del tempo; Giorgio Di Lecce, Luigi Chiriatti, Pierpaolo De Giorgi.
venerdì 13 gennaio
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Giovanni Pizza, Il tarantismo oggi. Antropologia pubblica: collegamento strategico tra politica e cultura, come fu nel secondo dopoguerra, quando parte degli antropologi italiani trassero motivazioni e ispirazioni anche dalla riflessione sull 'opera del carcere' di Antonio Gramsci che si veniva pubblicando. De Martino intellettuale gramsciano, esplicitamente o implicitamente e operativamente. Dal sapere, al comprendere, al sentire, e viceversa. Le antropologie 'molecolari' di Gramsci e de Martino.
martedì 17 gennaio Lezione della prof. Grazia Tuzi (Sapienza Università di Roma, Dipartimento di Scienze documentarie, linguistico-filologiche e geografiche). Musica e tarantismo, dalle ricerche di Diego Carpitella del 1959 e 1960, al folk revival degli anni Sessanta e Settanta, al neotarantismo, al festival della Notte della taranta.
venerdì 20 gennaio
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La ricerca di Giovanni Pizza verte sui processi di patrimonializzazione del tarantismo salentino: "gli agenti sociali locali locali usano le conoscenze scientifico-accademiche per rileggere il tarantismo e legittimare un processo di rammemorazione, non tanto del 'rito terapeutico' o del 'culto di possessione' connesso alla sofferenza sociale, quanto agli aspetti coreutico-musicali. Il tarantismo diventa soprattutto musica e 'danza popolare', con un significato indefinito di trance"; "la trasformazione del tarantismo in un simbolo positivo, liberato dalla sua connessione con la sofferenza, è possibile attraverso un processo di decontestualizzazione del simbolo, reificato e proiettato in una dimensione universale non ben definita" (Il tarantismo oggi, p. 28 e p. 34). Un articolo di Amalia Signorelli del 1997 («Il tarantismo... che 'purtroppo' non c'è più»), dunque precedente alla nascita della Notte della taranta e all'esplosione della pizzica come fenomeno di consumo di massa nazionale e internazionale, si occupava del rapporto tra tarantismo e consumo musicale giovanile, tematizzando buona parte degli aspetti a cui accennano le precedenti citazioni da Il tarantismo oggi e che Pizza avrà modo di mettere alla prova della sua etnografia. Etnografia che fa da garante del carattere 'politico' del progetto di antropologia pubblica che Pizza pratica, e che è l'elemento caratterizzante dell'approccio 'critico' all'antropologia dei patrimoni culturali così come lo definisce Berardino Palumbo, a sua volta richiamato da Pizza come fondatore in Italia della riflessione antropologica appunto sui processi di patrimonializzazione (vedi l'articolo di Palumbo «Patrimonializzare» del 2009; e si consideri che la più ampia riflessione L'Unesco e il campanile, del 2003, frutto di una lunga ricerca sul campo nella Sicilia orientale, è stato dall'autore reso disponibile in rete sul sito di Academia.edu: https://www.academia.edu/7829072/LUnesco_e_il_campanile?auto=download).

 




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