SAPIENZA Università di Roma - Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di laurea in Storia, Antropologia, Religioni - a.a. 2016/2017
Eugenio Testa
Discipline DEA IV - Ernesto de Martino nella terra del rimorso
(codice 1023967) - 6 CFU - M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche
ANNO DI CORSO: 2 -
SEMESTRE: 1 CONTENUTI OBIETTIVI FORMATIVI PROGRAMMA D'ESAME CALENDARIO DELLE LEZIONI: martedì ore 17-19 aula di Paleografia, venerdì ore 11-13 aula di B di Storia moderna e contemporanea INIZIO DELLE LEZIONI: venerdì 4 novembre 2016 (termine previsto: venerdì 20 gennaio 2017) ESAMI: sessione invernale: martedì 31 gennaio 2017, martedì 14 febbraio e martedì 28 febbraio sempre dalle 11 alle 14 e sempre in aula di Paleografia NOTE: L'esame sarà
scritto, con alcune domande a risposta aperta sui principali argomenti
trattati nei testi in programma. |
"Nella foto, scattata da Franco Pinna a Bella (Potenza) il 10 luglio 1959, sulla via del ritorno a Roma, sono riconoscibili tutti i membri dell'équipe tranne Diego Carpitella. Dall'alto in basso e da sinistra a destra si riconoscono, dopo i due bambini di Bella, Annabella Rossi, Giovanni Jervis, un notabile locale, Letizia Comba, Giuseppe De Sina - geometra di Bella, abituale informatore di de Martino -, Amalia Signorelli, Vittoria De Palma, un altro signore non ben identificato con il libro Sud e magia in mano, e infine, in primo piano, Ernesto de Martino" (E. de Martino, Etnografia del tarantismo pugliese. I materiali della spedizione nel Salento del 1959. A cura di Amalia Signorelli e Valerio Panza. Lecce, Argo, 2011, p. 56) |
LEZIONI: argomenti trattati, materiali utilizzati, opere citate:
venerdì 3 novembre
2016 |
Presentazione del
corso: testi d'esame, possibilità di esercitazioni di scrittura
per i frequentanti. |
martedì
8 novembre audio della lezione: prima parte seconda parte |
Pietro Angelini, Ernesto de Martino, cap. 1 Le due guerre: da Naturalismo e storicismo nell'etnologia (1941) a Il mondo magico (1948); la crisi della civiltà europea; l'inadeguatezza teorica dell'etnologia classica; il dramma storico della presenza. |
venerdì
11 novembre audio della lezione: prima parte seconda parte |
Ancora
sul tema di realtà/efficacia dei poteri magici nel Mondo magico;
nesso tra queste tematiche demartiniane e la successiva nascita dell'etnopsichiatria;
"[...] il problema della realtà dei poteri magici non ha per
oggetto soltanto la qualità di tali poteri, ma anche il nostro stesso
concetto di realtà, e [...] l'indagine coinvolge non soltanto il
soggetto del giudizio (i poteri magici), ma anche la stessa categoria giudicante
(il concetto di realtà)." (de Martino, Il mondo magico,
p. 22 nell'ed.Boringhieri 1973); questo approccio viene discusso nel saggio
di Fabio Dei e Alessandro Simonicca «'Il
fittizio lume della magia': su de Martino e il relativismo antropologico»
(1997). Pietro Angelini, Ernesto de Martino, cap. 2 Gli anni del sole a picco: siamo all'incirca tra il 1946 e il 1958. 1) Le figure: Carlo Levi, Rocco Scotellaro, Antonio Gramsci; la discussione sul concetto di 'civiltà contadina': Levi, Manlio Rossi-Doria, Contadini del Sud di Scotellaro 2) Gli eventi: il contatto diretto con i 'subalterni' (per la via della politica e poi per quella dell'etnografia), la presenza nel sistema editoriale/culturale, l'inserimento nell'Università 3) I temi: il "folklore progressivi" 4) I metodi: "storicizzare". |
martedì
15 novembre audio della lezione: prima parte seconda parte |
La discussione sulla
cultura popolare a metà degli anni Settanta fa spesso perno sul
de Martino degli "anni del sole a picco": il Convegno di Firenze
del 15-17 dicembre 1975 "Ernesto de Martino: riflessioni e verifiche",
organizzato dall'Istituto Gramsci di Firenze e dall'Istituto Ernesto de
Martino di Milano; le antologie di testi curate da P. Clemente, M.L. Meoni
e M. Squillacciotti (Aspetti del dibattito sul folklore in Italia nel
primo decennio del secondo dopoguerra : materiali e prime valutazioni:
prima dispensa per l'Università di Siena, a.a. 1974/75, poi a stampa
Il dibattito sul folklore in Italia, Milano, Edizioni di Cultura Popolare,
1976), da R. Rauty (Cultura popolare e marxismo, Roma, Editori
Riuniti, 1976; poi in una nuova edizione Quando c'erano gli intellettuali.
Rileggendo Cultura popolare e marxismo, Milano, Mimesis, 2015), da
C. Pasquinelli (Antropologia culturale e questione meridionale. Ernesto
De Martino e il dibattito sul mondo popolare subalterno negli anni 1948-1955,
Firenze, La Nuova Italia, 1977) e da P. Angelini (Dibattito sulla cultura
delle classi subalterne 1949-50, Roma, Savelli, 1977). |
venerdì
18 novembre audio della lezione: prima parte seconda parte |
La prospettiva storica
(diacronica) nella ricerca e quella strutturale (sincronica) non sono
necessariamente alternative, ma possono essere anche complementari; è
quello che sostiene A. M. Cirese nel 1986 («Storicismo
e strutturalismo»), nel numero monografico di La ricerca
folklorica dedicato a Ernesto de Martino; ed è quello che ha
praticato Vladimir Jakovlevic Propp nei suoi studi sulle fiabe, applicando
un approccio morfologico (sincronico) nello studio del 1928 (Morfologia
della fiaba, tradotto in italiano nel 1966) e un approccio storico
genetico (diacronico) in quello del 1946 (Radici storiche dei racconti
di fate, tradotto in italiano nel 1949 nella collana einaudiana diretta
da Pavese con la collaborazione di de Martino). |
martedì
22 novembre audio della lezione: prima parte seconda parte |
Tra gli interventi che de Martino dedica alle ricerche in Basilicata, dopo
l'articolo «Note lucane» del 1950 e prima dei volumi Morte
e pianto rituale e Sud e magia, spicca il testo «Note di
viaggio» (Nuovi Argomenti, I, n. 2, maggio-giugno 1953: 47-79).
Rispetto a «Note lucane» possiamo notare elementi di continuità
e differenziazioni. La continuità è nello stile di costruzione
del testo, che alterna la esplicita, ripetuta e critica messa in scena dell'autore
nel proprio ruolo di ricercatore, con le voci dei suoi interlocutori che
riferiscono testi e producono racconti sulle loro vite; la differenziazione
è frutto dei tre anni passati, con l'accumularsi di documentazione
etnografica e lo sfumare dell'interesse per le tematiche del 'folklore progressivo'.
Abbiamo così, in «Note di viaggio», il rispecchiamento
delle tematiche su cui de Martino ha lavorato e lavorerà ancora negli
anni seguenti: canti popolari, magia, fascinazione, lamento funebre. Solo gradualmente de Martino riuscirà a chiarirsi come dare ordine concettuale alla ricerca, prima isolando il tema del lamento funebre, concentrandosi su di esso anche nella raccolta dei materiali etnografici e pubblicando infine Morte e pianto rituale nel 1958, e solo poi tornando sul tema originario della magia, ma in termini molto più concentrati rispetto alle ipotesi di partenza: e sarà Sud e magia (1959). Il tema centrale intorno al quale i dati etnografici sulla "bassa magia cerimoniale" lucana vengono organizzati è quello della fascinazione, letta non nel suo isolamento di relitto folklorico, ma come complesso mitico-rituale, che all'azione delle pratiche magiche associa la presenza di un simbolismo in cui è ormai forte la componente di origine cattolica. Nell'ottica di una "storia religiosa del Sud" (che proseguirà con La terra del rimorso) è fondamentale per de Martino analizzare in modo complementare il magismo e il cattolicesimo 'popolare', ed entrambi in relazione al ruolo dell'intellettualità laica meridionale e ai suoi limiti nella battaglia per uno sviluppo del pensiero moderno (l'ideologia della jettatura è un esito compromissorio di questa battaglia). |
venerdì
25 novembre audio della lezione: prima parte seconda parte |
Pietro
Angelini, Ernesto de Martino, cap. 4 'Gli ultimi tempi'. In coincidenza
con il suo ingresso all'Università come professore di Storia delle
religioni (1959, a Cagliari), de Martino chiude la stagione delle ricerche
sul campo nel Meridione. Dopo la pubblicazione a distanza ravvicinata dei
tre libri che principalmente di quelle ricerche erano frutto (Morte e
pianto rituale nel 1958, Sud e magia nel 1959 e La terra del
rimorso nel 1961) de Martino avrà il tempo di curare una raccolta
di suoi saggi dal titolo programmatico (Furore simbolo valore, nel
1962: la crisi, gli strumenti per affrontarla, il riscatto), ma non quello
di portare a termine la ricerca di carattere teorico su cui stava lavorando.
Il tema era ancora quello del dramma (storico e collettivo, psicologico
e individuale) del rischio della presenza, dell'esserci nel mondo, e quello
degli strumenti con cui la presenza umana (dei gruppi e degli individui)
nel mondo si afferma e si espande, producendo cultura. De Martino morì
il 6 maggio del 1965, lasciando una grande mole di materiale preparatorio
per il volume in lavorazione: ipotesi di indice, parti di capitoli, schede
di lettura, note e appunti vari. Solo nel 1977 Clara Gallini poté
portare a termine la cura dell'edizione del libro (progettata da Angelo
Brelich a partire già dai mesi successivi alla morte di de Martino):
La fine del mondo. Contributo all'analisi delle apocalissi culturali. Struttura e contenuti del libro; apocalissi culturali e apocalissi psicopatologiche; il problema del tempo nello studio delle apocalissi; abbozzo di una teoria storico-religiosa demartiniana 'mista' di tempo: tempo delle origini, tempo ciclico, tempo lineare e tempo etico come fasi distinte, successive o alternanti o compresenti; la visione cristiana del tempo è la più elaborata e matura che l'umanità abbia espresso, con la sua complementarità di linearità (apocalissi finale e parusìa) e ciclicità (anno liturgico, imperniato su passione/resurrezione del dio-uomo, che costituisce un mito/rito protettivo contro la maggiore crisi possibile della presenza: la morte); ma quella cristiana è pur sempre (non solo ma soprattutto) una religione, e l'aspetto in essa prevalente è quello della destorificazione: per una storia i cui valori siano consapevolmente di origine e destinazione integralmente umani occorre fondare e vivere un tempo etico; "l'ethos trascendentale del trascendimento della vita nella valorizzazione intersoggettiva" può essere quello di Rocco Tammone, abitante della Ràbata di Tricarico, che è oberato di debiti contratti necessariamente per sopravvivere e tuttavia "malgrado la tentazione continua delle cose, Rocco Tammone resta un uomo pieno di umanità, anzi si capisce che la sua umanità si è costituita in aspra lotta con quella tentazione. Quando Rocco Scotellaro, sindaco socialista di Tricarico, fu incarcerato, Rocco Tammone gli scrisse una lettera che merita di essere conosciuta", scrive de Martino nel 1950 in «Note lucane», e riporta la lettera, e la commenta dicendo che essa pone il problema generale della umanità e della civiltà della gente rabatana: umanità, civiltà, cultura che la gente rabatana fonda e vive nella lotta per essere nella storia ed esserne protagonista. Nel 1950 de Martino non usava l'espressione "ethos del trascendimento", ma di questo si tratta. |
martedì
29 novembre audio della lezione: prima parte seconda parte |
Una
discussione sulla pubblicazione de La fine del mondo venne
ospitata dalla rivista Quaderni storici nel 1979. Vi presero parte
Clara Gallini, Cesare Cases, Pier Cesare Bori, Carlo Ginzburg, Giovanni
Jervis, Michele Risso e Luigi Lombardi Satriani. Cases e Ginzburg criticano
come idealista la nozione di 'ethos del trascendimento', Ginzburg apprezza
quella di 'appaesamento' (e inserisce il Mondo magico in una lista
di libri "dell'anno zero", concepiti mentre l'Europa pareva
sul punto di cadere in mano al nazismo e si rischiava effettivamente la
fine di un modo; gli altri sono Dialettica dell'illuminismo di
Adorno, Paura della libertà di Levi, Apologia della storia
di Bloch, Une histoire modèle di Queneau). |
venerdì
2 dicembre audio della lezione: prima parte seconda parte |
E.
de Martino, La
terra del rimorso:
Prefazione, Introduzione. Nella Prefazione ci sono, come d'uso, anche i ringraziamenti; il primo è «alle "persone vive" che furono piegate, nel corso dell'indagine etnografica, a sostenere la parte innaturale di "documenti storici": violenza non evitabile che l'etnografo dovette compiere e che gli fece contrarre verso queste "persone vive" un debito non interamente estinguibile con un'opera di storiografia religiosa, per quanto coscienziosamente concepita e scritta». Ma la Prefazione già indica, anche, oggetto, contesto, prospettiva e metodo della ricerca. L'oggetto è il tarantismo, definito come fenomeno storico-religioso, nato nel Medioevo e sviluppatosi fino al '700, formazione religiosa minore e contadina ridotta a relitto, oggi, ma in passato istituzione viva e coinvolgente anche altri strati sociali, caratterizzata dal simbolismo della taranta che morde e avvelena, e da quelli della musica, della danza e del colore, che curano; il contesto è la terra del rimorso (il cattivo passato che torna, non scelto, e opprime), che in senso stretto è la Puglia, sede del tarantismo, ma in senso più largo è il meridione contadino italiano, e in senso più largo ancora è tutta la parte del pianeta che attende il riscatto da una situazione di miseria materiale e culturale; la prospettiva sul piano conoscitivo è dare un contributo (molecolare, a partire da una minuta vicenda locale) alla storia religiosa del Sud, esaminando l'interazione tra religiosità popolare, cattolicesimo, magia naturale, ragione illuministica, e sul piano etico politico è dare una nuova dimensione alla questione meridionale, contribuire a un nuovo umanesimo che sappia combattere il cattivo passato che torna e paralizza nel suo cono d'ombra; il metodo è il tenere uniti nell'analisi oggetto, contesto e prospettiva così definiti, evitando di considerare isolatamente fenomeni e istituti culturali, e mettendosi nelle condizioni di scegliere il passato importante da indagare in funzione dei problemi presenti (e non di subirlo, né di vivacchiare intellettualmente in uno storicismo pigro). Nell'Introduzione, c'è subito la dichiarazione dell'importanza per l'etnologia di quello che oggi chiameremmo 'riflessività': «giustificare a se stessi e al proprio pubblico entrambi i termini del rapporto, cioè chi viaggia per conoscere e chi è visitato per essere conosciuto». E' una svolta imposta dai tempi mutati (fine del colonialismo, 'rimpicciolimento' del pianeta) e consentita da nuovi strumenti concettuali (marxismo, psicoanalisi, esistenzialismo). Il ricercatore nella ricerca c'è, non deve nascondersi, deve darsi e dare ragione di come e perché fa ricerca, e rendere espliciti i passaggi della oggettivazione nella analisi storico-culturale delle sue motivazioni: solo questo renderà intelligibili e sensati per i suoi lettori i risultati del suo lavoro, che altrimenti non saranno che futilità e pettegolezzo (il concetto di 'pettegolezzo' torna nella Fine del mondo, nel brano 157). E' una svolta che distanzia dall'angustia teorica e morale dell'etnologia positivista, e che è testimoniata da libri come Tristi tropici, in cui Claude Lévi-Strauss dice (citato da de Martino) che l'inchiesta etnografica è una scelta radicale che «implica la messa in causa del sistema nel quale si è nati e cresciuti», che «se l'occidente ha prodotto degli etnografi è perché un cocente rimorso doveva tormentarlo», che «l'etnografo si può tanto poco disinteressare della sua civiltà e declinare ogni responsabilità delle sue colpe che la sua stessa esistenza di etnografo è incomprensibile se non come tentativo di riscatto: la condizione di etnografo è simbolo di espiazione». De Martino fa sue queste posizioni, ma avverte che la messa in causa del sistema nel quale si è nati e cresciuti ha dei limiti, non può spingersi fino a un relativismo estremo che renderebbe incapaci di comprendere sia se stessi sia gli altri: «noi non possiamo mettere in causa il risultato fondamentale dell'Umanesimo di cui siamo, volenti o meno, gli eredi: cioè la coscienza dell'origine e della destinazione umana di tutti i beni culturali, anche di quelli - anzi "soprattutto" di quelli - che includono in un modo o nell'altro il pensiero di un'origine o di una destinazione metastorica, extramondana, divina della cultura. Noi non possiamo abbassare le armi della critica davanti al "numinoso" e rinunziare a ritrovare gli uomini e le motivazioni umane che l'hanno di volta in volta generato nella concretezza delle diverse situazioni culturali. La coscienza dell'origine e della destinazione umana di tutti i beni culturali non è una fra le tante coscienze possibili che se ne può avere, ma è la nostra stessa coscienza di etnografi che ci segue come un'ombra, è lo strumento di analisi più indispensabile che portiamo con noi». Riportando l'attenzione sulla dimensione 'locale' della ricerca sul tarantismo, de Martino conclude il ragionamento ricordando che «considerazioni del genere non valgono soltanto per l'etnografia delle cosiddette civiltà primitive, ma anche per l'etnografia metropolitana, almeno nella misura in cui essa si rivolge allo studio di fenomeni arcaici ancora reperibili nella vita culturale delle nazioni moderne. Il fatto che, in questo caso, i viaggi da intraprendere siano più brevi e meno faticosi non introduce nessuna sostanziale differenza, poiché si tratta sempre di un incontro con comportamenti umani desueti, e che si oppongono al sistema "nel quale siamo nati e cresciuti", richiamandosi a ideologie non più attuali, e di cui non possediamo più la chiave». |
martedì
6 dicembre audio della lezione: prima parte seconda parte |
[una indicazione bibliografica
relativa alla discussione di ieri 5 dicembre sul numero 2-3 del 2015 di
Lares, dedicato a A.M. Cirese e la demologia come scienza 'normale':
Pietro Clemente, «De Martino dentro di noi: appunti tra storia e
genealogia», in C. Gallini, M. Massenzio (a cura di), Ernesto
De Martino nella cultura europea, Napoli, Liguori, 1997, p. 193-207]. |
venerdì
9 dicembre audio della lezione: prima parte [incompleto] seconda parte |
E. de Martino, La
terra del rimorso: Tarantismo e malattia; L'autonomia simbolica del
tarantismo. |
martedì
13 dicembre audio della lezione: prima parte seconda parte |
E.
de Martino, La terra del rimorso: ancora sull'autonomia del simbolo
della taranta. L'etnografia dell'autonomia del simbolo: Maria di Nardò,
Filomena di Cerfignano, Pietro di Nardò. Maria di Nardò: etnografia dell'esorcismo + anamnesi del concreto dramma psichico di Maria. Il ruolo dei suonatori: "E davvero le cose si svolgevano sotto i nostri occhi come se si trattasse di far sì che il corpo-taranta della tarantata si tramutasse in corpo-strumento, e quindi in corpo ritmico e melodico, per ristabilire così il rapporto con qualche cifrato patire psichico. Di tale vicenda i suonatori erano i mediatori, gli stimolatori, le guide" [i suonatori erano Luigi Stifani (violino), Salvatora Marzo (tamburello), Pasquale Zizzeri (organetto), Cosimo Mì (chitarra): così risulta dai materiali della ricerca pubblicati da Amalia Signorelli e Valerio Panza in Etnografia del tarantismo pugliese (Lecce, Argo, 2011; vedi a pag. 310); per il ruolo dei musicisti di Nardò nello spettacolo "Sentite buona gente" del 1967 si veda Roberto Leydi e il "Sentite buona gente". Musiche e cultura nel secondo dopoguerra, di Domenico Ferraro (Roma, Squilibri, 2015)]. Il sistema simbolico di primi morsi e ri-morsi: Filomena di Cerfignano, Pietro di Nardò. Il simbolo non operante: Michele di Nardò, Giorgio di Galàtone. Il rimorso nella canicola: l'occasione del primo morso e il carattere dei ri-morsi nella discussione di diversi casi di tarantate; il ruolo importante dell'ambiente (la famiglia, il vicinato) nella diagnosi e durante la terapia; il ruolo di medici, sacerdoti, carabinieri; il nesso Puglia-tarantismo. |
venerdì
16 dicembre audio della lezione: prima parte seconda parte |
E.
de Martino, La terra del rimorso. Tarantismo ed economia: i ceti sociali coinvolti nel fenomeno del tarantismo, nel 1959 (contadini poveri) e storicamente (fino all'Ottocento, anche altri ceti); forte incidenza sui bilanci delle famiglie dei tarantati delle spese sostenute per le terapie domiciliari (compensi ai suonatori); i flussi delle offerte per la cappella di San Paolo a Galatina, raccolte durante le terapie domiciliari o direttamente in cappella in occasione della festa di giugno dei santi Pietro e Paolo. Tarantismo e cattolicesimo. Il logorio dell'esorcismo coreutico musicale (riduzione del numero di suonatori; impoverimento del repertorio musicale) è sintomo e emblema dello stato di estremo declino del tarantismo come istituto culturale. Ma, ci dice de Martino, "il declino dell’esorcismo tradizionale condotto mediante simboli musicali, coreutici e cromatici appariva legato, sul terreno strettamente religioso, al rapporto fra taranta e S. Paolo, promosso dall’influenza cattolica. Di fatto si trattava di un rapporto estremamente confuso e contraddittorio, nel quale coesistevano un S. Paolo protettore dei tarantati, al quale si implorava la grazia, un S. Paolo che inviava le tarante per punire qualche colpa, e un S. Paolo-taranta o una taranta-S. Paolo esorcizzabile con la musica, la danza e i colori; infine nel corso dei dialoghi, con una voce allucinatoria, appariva ora la taranta e ora S. Paolo, e ora alcunché che poteva essere l’una e l’altro. Insomma le cose si svolgevano come se due diversi simbolismi, quello di S. Paolo protagonista dell’episodio di Malta e quello della taranta che morde e rimorde, cercassero di fondersi in un nuovo equilibrio culturale senza riuscirvi." Scenario del processo di disgregazione del tarantismo operato dal culto di San Paolo era stato, lungo due secoli, la cappella di Galatina. Leggenda che fonda la Casa di San Paolo con pozzo miracoloso come luogo di guarigione dai morsi avvelenatori; sanpaolari (guaritori e incantatori di serpenti) [sul culto popolare per San Domenico e per San Paolo in connessione con i serpenti: Alfonso Di Nola, Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana. Torino, Boringhieri, 1976; Annamaria Rivera, Il mago, il santo, la morte, la festa. Forme religiose nella cultura popolare. Bari, Dedalo, 1988]; lunga contesa tra Capitolo di Galatina e famiglia nobile dei Vignola sulla cappella, costruita a metà del '700, e consacrata infine nel 1793; riconoscimento di fatto da parte della chiesa delle pratiche rituali del tarantismo: la visita pastorale a Galatina del 1837 dell'arcivescovo Grande. Etnografia degli eventi nella cappella di San Paolo a Galatina del 28 e del 29 giugno 1959: nel libro de Martino pubblica una riscrittura del documento elaborato sul campo da Amalia Signorelli, che fondeva le note di campo di quei due giorni della stessa Signorelli, e di Vittoria De Palma, Letizia Comba, Giovanni Jervis. La interpretazione demartiniana è netta: "Avevamo ancora nella memoria l’esorcismo musicale visto pochi giorni prima a casa di Maria di Nardò, così ordinato e regolare, così nettamente scandito nei suoi cicli coreutici sempre uguali, così controllato dal ritmo del tamburello e dalla melodia del violino, così drammaticamente impegnato verso l’evocazione e il deflusso di oscure sollecitazioni psichiche mediante la musica, la danza e i colori: ma ora, davanti ai nostri occhi, non vi era che un intrecciarsi di crisi individuali senza orizzonte, il disordine e il caos. In cappella non vi erano né la musica, né i nastri colorati, né l’ambiente raccolto del domicilio, né tutto il vario simbolismo messo in moto dall’esorcismo musicale in azione: e in assenza di questo tradizionale dispositivo di evocazione e di deflusso i tarantati naufragavano." Le invocazioni a Santu Paulu meu de le tarante mostravano "quale inestricabile nodo di contraddizioni culturali fosse stato stretto in questa cappella nei due secoli della sua storia", ma il dato che appariva a de Martino era quello di una disgregazione del tarantismo "in una serie di grotteschi ibridismi senza avvenire, e soprattutto in una serie di crisi senza orizzonte. Trasportato in cappella, amputato dell’esorcismo musicale e di tutti i simbolismi di evocazione e di deflusso che in quell’esorcismo entravano in azione, il tarantismo si spogliava di ogni dignità culturale, di ogni efficacia simbolica, e recedeva al livello di singoli episodi morbosi sui quali era chiamato a giudicare non più lo storico della vita religiosa, ma lo psichiatra". Come abbiamo già visto, la possibilità di prospettive interpretative in parte diverse e comunque più articolate avrebbe segnalato Amalia Signorelli nella Introduzione al volume da lei curato con Valerio Panza (Etnografia del tarantismo pugliese. Lecce, Argo, 2011). In quanto l'équipe aveva visto in cappella Signorelli riteneva si potesse sviluppare la riflessione sulla preponderanza delle donne, sulla dimensione anche collettiva delle loro interazioni in cappella, sulla ricerca di un rapporto con un pubblico (con il tema di un passaggio dal rito al teatro). |
martedì
20 dicembre audio della lezione: prima parte seconda parte |
E. de Martino, La terra del rimorso. Parte seconda: il tarantismo come religione del rimorso; Parte terza: la comparazione non mira alla riduzione del tarantismo a caso particolare di qualcos'altro (del tipo dei culti di possessione, o degli antecedenti classici), ma all'individuazione della sua originalità storica; la comprensione storiografica mira a ricostruire coerenze culturalmente condizionate nei comportamenti apparentemente irrazionali; "il significato culturale del tarantismo risulta non tanto dal suo rapporto con i paralleli etnografici e con gli antecedenti classici, quanto dal fatto che la sua origine, le sue modalità e il suo declino – cioè la sua intera orbita storica – appaiono legati a momenti decisivi o importanti della stessa storia interna della civiltà occidentale"; e infine, tornando sul tema dell'etnografia moderna che studiando l'altro mette in causa se stessa, de Martino osserva che "il metodo fondamentale di controllo e di oggettivazione di quel «privato» sentire che minaccia sempre di farsi valere come «privato», resta la prospettiva storico-culturale col suo principio umanistico, da provare e riprovare continuamente, dell’origine e della destinazione integralmente umane di tutti i beni culturali: senza questa egemonia della scienza storica e della scelta storicistica tutte le scienze umane dell’occidente entrano in crisi, esponendosi al triplice dissolvente assalto dell’irrazionalismo, del relativismo e del neutralismo". |
martedì
10 gennaio 2017 audio della lezione |
Giovanni Pizza, Il tarantismo oggi. Trasformazione patrimoniale del tarantismo; effetti sociali della Terra del rimorso sui luoghi della ricerca; la taranta non è più solo pugliese; antropologia pubblica: dialogo, confronto e reciproche influenze tra ricercatori accademici, ricercatori locali, amministratori, artisti, cittadini; uscire dal cono d'ombra del cattivo presente: Gramsci e de Martino; il ricercatore accademico che fa antropologia del patrimonio è consapevole della patrimonializzazione dell'antropologia da parte dei protagonisti della ricerca e della politica culturale locali; evitare il populismo scientifico, lavorare per la popolarizzazione della conoscenza critica; la memoria etnografica demartiniana è operante e operata sia nell'antropologia accademica, sia nella produzione locale di cultura, che fra loro si intrecciano nel corso del tempo; Giorgio Di Lecce, Luigi Chiriatti, Pierpaolo De Giorgi. |
venerdì
13 gennaio audio della lezione |
Giovanni Pizza, Il tarantismo oggi. Antropologia pubblica: collegamento strategico tra politica e cultura, come fu nel secondo dopoguerra, quando parte degli antropologi italiani trassero motivazioni e ispirazioni anche dalla riflessione sull 'opera del carcere' di Antonio Gramsci che si veniva pubblicando. De Martino intellettuale gramsciano, esplicitamente o implicitamente e operativamente. Dal sapere, al comprendere, al sentire, e viceversa. Le antropologie 'molecolari' di Gramsci e de Martino. |
martedì 17 gennaio | Lezione della prof. Grazia Tuzi (Sapienza Università di Roma, Dipartimento di Scienze documentarie, linguistico-filologiche e geografiche). Musica e tarantismo, dalle ricerche di Diego Carpitella del 1959 e 1960, al folk revival degli anni Sessanta e Settanta, al neotarantismo, al festival della Notte della taranta. |
venerdì
20 gennaio audio della lezione |
La ricerca di Giovanni Pizza verte sui processi di patrimonializzazione del tarantismo salentino: "gli agenti sociali locali locali usano le conoscenze scientifico-accademiche per rileggere il tarantismo e legittimare un processo di rammemorazione, non tanto del 'rito terapeutico' o del 'culto di possessione' connesso alla sofferenza sociale, quanto agli aspetti coreutico-musicali. Il tarantismo diventa soprattutto musica e 'danza popolare', con un significato indefinito di trance"; "la trasformazione del tarantismo in un simbolo positivo, liberato dalla sua connessione con la sofferenza, è possibile attraverso un processo di decontestualizzazione del simbolo, reificato e proiettato in una dimensione universale non ben definita" (Il tarantismo oggi, p. 28 e p. 34). Un articolo di Amalia Signorelli del 1997 («Il tarantismo... che 'purtroppo' non c'è più»), dunque precedente alla nascita della Notte della taranta e all'esplosione della pizzica come fenomeno di consumo di massa nazionale e internazionale, si occupava del rapporto tra tarantismo e consumo musicale giovanile, tematizzando buona parte degli aspetti a cui accennano le precedenti citazioni da Il tarantismo oggi e che Pizza avrà modo di mettere alla prova della sua etnografia. Etnografia che fa da garante del carattere 'politico' del progetto di antropologia pubblica che Pizza pratica, e che è l'elemento caratterizzante dell'approccio 'critico' all'antropologia dei patrimoni culturali così come lo definisce Berardino Palumbo, a sua volta richiamato da Pizza come fondatore in Italia della riflessione antropologica appunto sui processi di patrimonializzazione (vedi l'articolo di Palumbo «Patrimonializzare» del 2009; e si consideri che la più ampia riflessione L'Unesco e il campanile, del 2003, frutto di una lunga ricerca sul campo nella Sicilia orientale, è stato dall'autore reso disponibile in rete sul sito di Academia.edu: https://www.academia.edu/7829072/LUnesco_e_il_campanile?auto=download). |
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